IL DISCORSO DELL’ON. MAURIZIO LUPI, MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE, all’ inaugurazione di EIRE

“LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO, UNA GRANDE OCCASIONE PER L’ITALIA”
 
Dal 2005 EIRE rappresenta il punto di incontro più qualificato fra operatori del mercato immobiliare, italiani e stranieri, e rappresentanti della politicae delle amministrazioni pubbliche. Questo appuntamento annuale offre non solo un’occasione  di confronto professionale, ma anche una vetrina e un’opportunità concreta di attrazione di investimenti.
L’importanza strategica dell’immobiliare per il sistema Paese
L’Italia – con il suo paesaggio, con i suoi straordinari centri storici, con la diffusione capillare di strutture e culture urbane originali- dispone di asset territoriali superiori, almeno potenzialmente, a quelli di qualunque altro paese. Il patrimonio immobiliare italiano inoltre – anche in termini quantitativi – è di ragguardevoli dimensioni: parliamo di un totale di unità immobiliari censite al catasto che ha superato – nel 2012 – i sessanta milioni, per una rendita catastale di 34,4 mld di euro (Fonte: Gli immobili in Italia, 2012, a cura della Agenzia del territorio). La domanda che dobbiamo porci è: perché un’offerta immobiliare così ben posizionata è ancora così poco attrattiva? Perché sono ancora così pochi i promotori internazionali presenti sul mercato italiano?
Real Estate, rilancio dell’economia, interesse del Governo
E’ naturale, quindi, che oggi la politica si ponga queste domande. E guardi al real estate come ad una delle principali vie per il rilancio dell’economia.Questa manifestazione è quindi fra quelle di massimo interesse per il Governo. Un Governo che fonda interamente la propria ragion d’essere sulla capacità di mettere in campo alcune misure eccezionali di ripresa economica e di inversione di una tendenza recessiva oggi ancora pienamente in atto.
La caduta delle transazioni
Il mercato immobiliare delle abitazioni ha subito un ulteriore drammatico crollo nel 2012, perdendo oltre 150mila compravendite rispetto all’anno precedente: si tratta del peggior risultato dal 1985 quando le abitazioni compravendute erano state circa 430mila. E questo, dopo cinque anni consecutivi di caduta delle comprevendite! Il settore non residenziale che comprende i mercati del terziario, commerciale e produttivo, ha mostrato, nel 2012, in evidente analogia con il settore residenziale, un calo altrettanto consistente. A fronte della diminuzione del 25,8% registrata nel settore residenziale, il terziario e il commerciale perdono rispettivamente il 26,6% (con un totale di 10.624 transazioni effettuate nel 2012 su uno stock complessivo pari a 659.196 unità) e il 24,7% (26.281 transazioni nel 2012). Il settore produttivo segna un calo del 19,7% delle transazioni rispetto al 2011 (totale 2012: 10.020).
Non uniformità dei dati
I dati sono quindi molto preoccupanti. Inoltre non sono distribuiti in modo uniforme sul territorio nazionale. Ci sono aree geografiche e localizzazioni in cui il calo è molto più accentrato: come ad esempio i comuni non capoluogo del Nord Est (-30%) e altre nelle quali lo è meno: nei comuni capoluogo del Sud siamo al -19%. Un altro dato interessante è che nonostante i mutui alle famiglie siano ai minimi storici, gli investimenti per acquisto di abitazioni diverse dalla prima casa mostrano una migliore tenuta. Queste differenze ci obbligano a guardare più a fondo nella crisi, perché l’efficacia dei rimedi dipende anche dalla consapevolezza di tutti questi elementi.
L’intreccio con le restrizioni creditizie
Un primo carattere della crisi di cui parliamo è il suointreccio con la caduta del credito alle famiglie, determinato – a sua volta – dal nuovo atteggiamento delle banche rispetto al rischio di insolvenza. Le erogazioni finalizzate all’acquisto di abitazioni, nel 2012 non hanno raggiunto i 26 mld di euro, segnandouna caduta del 47,4% rispetto al 2011! Ma sappiamo bene che questa difficoltà nell’erogazione dei mutui ha, a sua volta, le sue ragioni. Ed in effetti ilrapporto tra sofferenze e impieghi è in costante rialzo ormai da quasi cinque anni. ISTAT ci dice nel suo recente Rapporto annuale che, dal 2009, le sofferenze bancarie delle famiglie crescono in media del 27% all’anno. Tuttavia, è evidente che questo comportamento delle banche ha un effetto pro-ciclico e quindi peggiorativo della situazione. Tutto ciò viene, poi, accresciuto da una regolamentazione bancaria sui requisiti patrimoniali molto più severa (Basilea 2 e 3). Ciò che accade è sotto gli occhi di tutti: l’interesse per l’acquisto immobiliare da parte delle famiglie italiane rimane alto (nonostante le scelte fiscali sbagliate fatte alla fine della passata legislatura, per arginare una pressione fortissima sul debito pubblico) ma il ridimensionamento dei prezzi non è sufficiente a riportare verso l’investimento immobiliare la domanda potenziale.
Una risposta tempestiva alla crisi da parte del Governo
Se la diagnosi è corretta, allora è evidente che la risposta immediata a questa crisi dovrebbe muoversi, contemporaneamente, su tre piani:
–        Iniziative specifiche per l’accesso al credito per famiglie e imprese
–        Rilancio di politiche per la casa e la riqualificazione urbana
–        Certezza delle regole e semplificazione delle procedure
Occorre dedicare una specifica attenzione all’accesso ai mutui immobiliari da parte delle famiglie e delle imprese. Da alcuni mesi, com’è noto, sono allo studio ipotesi di garanzie nei confronti delle banche dei mutui per le famiglie, tramite l’emissione di covered bond destinati a investitori istituzionali. La crisi politica e le elezioni hanno interrotto un lavoro di definizione dello strumento, che oggi va ripreso al più presto. Inoltre, il problema dell’accesso al credito riguarda anche le PMI che hanno progetti autorizzati sul territorio, che oggi sono vittime di un atteggiamento restrittivo e burocratico degli istituti di credito, sempre meno interessati a valutare il credito economico dei progetti territoriali.
Inoltre, possono essere istituite forme di garanzia assicurativa dello Stato sia a copertura del rischio incaglio di mutuatari virtuosi, sia a copertura del rischio di morosità di inquilini virtuosi ma in temporanea difficoltà.
Occorre poi assumere un’iniziativa forte – anche a livello di Governo e Parlamento – per dare impulso all’housing sociale e alle politiche di immissione sul mercato di abitazioni ad affitto accessibile, con adeguate misure di incentivazione fiscale. E’ necessario inoltre incentivare la ristrutturazione eriqualificazione di immobili, edifici e porzioni di città, come il Governo ha già iniziato a fare con uno dei suoi primissimi provvedimenti.
Occorre, però, tenere conto anche del contesto – estremamente sfavorevole – che vede anchel’Unione Europea ridurre il proprio contributo a queste politiche. Se nel ciclo di programmazione 2007-2013 sono stati stanziati circa 21,1 miliardi di euro (pari al 6,1% del bilancio complessivo) per la politica di coesione. La nuova programmazione dei fondi per il periodo 2014 -2020 vedrà contrarsi lo stanziamento per la politica di coesione (-8,3%) e quindi anche degli stanziamenti per lo sviluppo e la riqualificazione urbana, che ne fanno parte. Tutto lascia credere che – anche in questo settore – dovremo affrontare la prossima fase economica potendo contare su un plafond più basso di risorse europee.
Su tutte le questioni intendo mantenere una attenzione diretta nelle prossime settimana.
Un’azione a più ampio raggio
Ma queste politiche, più “tradizionali” sono ormai insufficienti. Voglio quindi tornare sulla domanda che ponevo all’inizio del mio intervento: perché ancora così pochi investitori stranieri? La risposta vi rinvia ai problemi ben noti: il rischio Italia, che in questo caso si aggrava per via del rischio autorizzazioni, la bassa certezza delle decisioni (dai cambi delle destinazioni d’uso, allo scoordinamento delle procedure autorizzatorie edilizie) tra gli infiniti soggetti in gioco.Ma non si può trascurare l’interdizione implicita spesso esercitata dalle pubbliche amministrazioni che difendono i micro interessi locali. E allora credo che fra stakeholder del comparto immobiliare e soggetti pubblici responsabili della regolazione delle trasformazioni del territorio deve aprirsi un confronto a tutto campo.
I punti-chiave
I punti chiave di questo confronto sono: sussidiarietà, valorizzazione del patrimonio, trasparenza e semplificazione, governo e salvaguardia del territorio.
–        Sussidiarietà e coordinamento:
•        Pubblico e privato devono dare vita ad una combinazione di competenze e ad una sinergia di ruoli che sono assolutamente necessari per affrontare un tema così complesso come la trasformazione urbana e il suo marketing a livello globale.
•        Ci vuole inoltre un maggior coordinamento: il rischio che l’offerta sia scoordinata, che si perda l’interesse nazionale della valorizzazione degli immobili pubblici. Spesso accade che progetti/operazioni presentati non siano veramente “vendibili” (spesso sono gli stessi che circolano da tempo senza trovare acquirenti). Si verifica inoltre una concorrenza, non so quanto proficua tra Agenzia del Demanio, Fondazione Beni Comuni dell’ANCI che rappresenta i Comuni, e operatori privati!
–        Valorizzazione del patrimonio: L’articolo 33 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 ha previsto la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari, con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e di valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e delle società interamente partecipate dai predetti enti.
Occorre procedere verso la piena attuazione delle finalità della norma.
I beni immobiliari pubblici, appartenenti al patrimonio disponibile o al patrimonio indisponibile devono essere trasferibili in concessione, tramite procedura competitiva, ai soggetti privati sulla base di programmi di valorizzazione di iniziativa pubblica e/o privata.
Lo stesso deve poter valere per immobili di demanio pubblico, previa verifica della sussistenza della demanialità e della presenza di vincoli di natura pubblica che ne impediscono l’utilizzo di natura privata.
La durata della concessione deve essere commisurabile ad un programma di investimento e di gestione ed alla dimostrazione di un effettivo contributo al miglioramento della qualità urbana. Le Regioni devono determinare le procedure integrate affinchè le procedure di concessione siano accompagnate da una variante urbanistica. In questo quadro possono essere collocati anche regimi fiscali agevolati per investitori istituzionali e fondi comuni di investimento immobiliare.
–        Trasparenza e semplificazione; governo e salvaguardia del territorio: è necessaria una nuova legge urbanistica “quadro”. L’evoluzione normativa, a livello regionale e locale sta frammentando il sistema di regolazione fin dai suoi principi informatori e dalla stessa terminologia (che oramai non è omogenea). Assistiamo allo strano fenomeno della formazione di ordinamenti urbanistici separati (e quindi di mercati separati). Il livello di trasparenza e di certezza del sistema ne risulta fortemente compresso. Inoltre, non può più trascurarsi il fatto che pianificazione urbanistica, tutela dell’ambiente, risparmio energetico, tutela/promozione dei beni monumentali, culturali e del paesaggio sono ambiti interconnessi e non ha senso che con l’espressione “governo del territorio” – che abbraccia tutti questi aspetti – si debba intendere (come oggi accade) una disciplina separata. Occorre fare uno sforzo per “riunificare” gli strumenti di governo del territorio, a partire dai dati sul territorio che oggi sono frammentati.
La pianificazione deve essere unica per ciascun territorio di riferimento, anche se concorrono diversi enti pubblici, preposti ciascuno alla tutela di determinati valori.
Quindi una pianificazione non più frammentata per funzioni e competenze. Deve essere trasparente e aperta al contributo attivo e propositivo dei privati. Mirata alla qualificazione dell’esistente più che al consumo di suolo. Flessibile.
Conclusioni
E’ necessario, però, che il Governo chiami i fondi internazionali per ascoltare le loro esigenze, intraprendendo così politiche sul territorio, senza commettere l’errore di ricadere nel localismo.
Ci vogliono realismo, responsabilità e fermezza nelle decisioni.