Dismissioni del patrimonio pubblico : le SIIQ tra le soluzioni, ma non solo

di Paola G. Lunghini
 
La necessità di ridurre (e anche rapidamente) il debito pubblico italiano (che a fine 2013, se non vi saranno nel frattempo interventi correttivi, supererà il 136% del PIL con oneri annui per interessi superiori a 80 MLD di euro) rende non più procastinabile la “effettiva” dismissione dei beni pubblici.
 
Peccato che sino a oggi i tentativi di dismissione dei beni pubblici non abbiano dato i risultati sperati.

Forse perché gli italiani non sanno vendere? Ciò non è credibile, visto il successo delle aziende italiane nel mondo.

La ragione dell’insuccesso (sarà brutale questo giudizio e in alcuni casi ingiusto: ma nel complesso questa è la sola definizione appropriata per il complesso dell’attività di dismissione di beni pubblici sino a oggi “tentata” dai vari governi e dai vari Ministri), risiede nella falsa forma democratica dei processi di dismissione sino a oggi attivati.
La burocrazia pubblica (anche grazie a Governi che non hanno sino a oggi avuto la volontà o la forza di intervenire in merito) ha saputo sino a oggi difendere molto bene se stessa e quindi i propri vantaggi e la propria sopravvivenza.
Spesso la burocrazia pubblica (a tutti i livelli) e il POTERE (potere politico, poteri forti in senso lato, poteri “trasversali” al mondo politico/finanziario/industriale/etc.) sono stati e sono alleati a vantaggio di sé stessi e a svantaggio dei cittadini. Anche la Burocrazia fa parte del potere: spesso il vero potere sta nella Burocrazia (intoccabile, impenetrabile, dall’esterno incomprensibile).
 
Se si vendono gli alloggi pubblici, non ci sono più alloggi pubblici da assegnare in locazione a canoni moderati. E allora come fa il politico, il burocrate, il “potente” a distribuire favori ai cittadini (come cani attorno alla tavola imbandita della Roma imperiale o di un ricco Signore del Medio Evo), affinchè poi i cittadini possano ricambiare il favore (con il voto o con … altro)? —forse è più incisivo evitare la ripetizione e lasciare l’elenco di “Se” per poi concludere alla fine*
Se si vendono le opere d’arte e i musei, l’apparato pubblico non può più assumere guardiani/addetti alla sicurezza/addetti ai restauri e agli uffici amministrativi.
Se si privatizzano servizi pubblici (ovviamente si parla di servizi non strategici per la sicurezza nazionale, in quanto questi specifici servizi anche per chi qui scrive devono restare saldamente in mano pubblica), l’apparato pubblico non può più assumere personale per farli funzionare.
*E allora come fa il politico, il burocrate, il “potente” a distribuire favori ai cittadini, affinchè poi i cittadini possano ricambiare il favore (con il voto o con … altro)?

Con circa 4 milioni di dipendenti pubblici (diretti) in Italia il Potere controlla probabilmente almeno tra i 12 e i 16 milioni di voti.
Chissà perché tutti parlano del lavaggio del cervello dei cittadini (elettori e non) prodotto dalla televisione e nessuno parla del condizionamento “di fatto” (anche se non esplicitato/urlato) del datore di lavoro pubblico sui cittadini suoi dipendenti (diretti e indiretti).

Ma torniamo alle dismissioni pubbliche.

Se il Potere politico vuole davvero risanare i conti dello Stato deve avere il coraggio di essere impopolare e deve contemporaneamente e da subito
– ridurre i costi correnti pubblici e quindi tagliare le spese pubbliche (anche riducendo drasticamente i dipendenti pubblici),
– valorizzare (enhance value; valuing?) il patrimonio pubblico in immobili e in aziende, eliminando anche solo per un periodo limitato di tempo, ma non inferiore a 10 anni, la facoltà di Regioni, Provincie, Comuni, altre realtà (locali e non) di impedire allo Stato di modificare destinazioni d’uso degli immobili, etc. e congelando/sospendendo (sempre per un periodo limitato di tempo) l’obbligo di attivare consultazioni (consultations/pubblic hearings??), conferenze di servizi, la possibilità di ricorsi al TAR, etc. Tutti devono comprendere che siamo in tempo di guerra (una guerra globale per ora a livello economico/finanziario/sociale) e in tempo di guerra vi sono “leggi speciali”,
– vendere i beni immobili (ove possibile) in diritto di superficie per un periodo anche molto lungo (non dico 999 anni, ma 99 o 149 o 199 anni ad esempio), con le valorizzazioni (e le nuove destinazioni d’uso, se necessarie) già deliberate in modo certo e irrevocabile,
– dare in concessione per 49 o 99 anni i musei pubblici (con tutte le opere d’arte ivi contenute) a privati con l’obbligo per i nuovi gestori di non trasferire all’estero le opere d’arte e di manutenere perfettamente gli immobioli e le opere d’arte ivi contenute.

Come potrà lo Stato fare rapidamente cassa dalla dismissione dei beni immobili pubblici?
Utilizzando veicoli quotati come le SIIQ? Oppure i Fondi di Investimento Immobiliare? Oppure un nuovo “strumento” finanziario?
Le SIIQ.
Va ricordato innanzi tutto che l’investimento in titoli (non speculativi, con elevato flottante e acquistati a un “corretto” prezzo, cioè non al massimo di un ciclo rialzista) quotati in Borsa nel lungo periodo (ad esempio per 20-30 anni) dovrebbe consentire un rendimento annuo medio composto superiore al rendimento ottenibile nello stesso periodo da un investimento immobiliare (ben posizionato e acquistato a un “corretto” prezzo), ma al contempo è un investimento assai più volatile rispetto a un investimento immobiliare. Cioè in uno o più anni del periodo, durante il quale si è proprietari di quel certo titolo, si possono registrare rendimenti negativi anche molto importanti.
Al contempo un investimento immobiliare tende nel lungo periodo a rendere meno di un pari investimento finanziario, ma solitamente non fa registrare rendimenti negativi importanti in uno o più anni del periodo, durante il quale si è proprietari di quel certo immobile.
Inoltre l’immobile ha la funzione di proteggere totalmente l’investitore dal rischio inflattivo. Cosa che l’investimento azionario non sempre riesce a fare.
Ecco perché solitamente le azioni rappresentative di investimenti immobiliari crescono meno e (solitamente) diminuiscono meno rispetto all’andamento dell’indice medio dei prezzi di Borsa.
Ma, quando la crisi del settore immobiliare è conclamata, queste azioni sono molto sensibili a tali notizie e subiscono diminuzioni di prezzo significative, anche superiori alle variazioni dell’indice medio dei prezzi di Borsa.
Le SIIQ, anche se danno (per ora: ma chi si fida che la parola data dal legislatore fiscale italiano duri nel tempo?) un vantaggio fiscale, non sono adatte al piccolo investitore privato. Questo investimento è più adatto a investitori istituzionali (ad esempio Fondi pensione) che al privato cittadino.
I Fondi di Investimento Immobiliare.
La storia di circa 15 anni di investimento in simili strumenti italiani è molto deludente. Pochissime transazioni giornaliere (sono titoli quasi totalmente illiquidi), perdite sul capitale investito per chi ha investito nel momento della offerta al pubblico mediamente superiori al 50%, costi di gestione ancora elevati: sono tutti elementi negativi che impediscono di riproporre lo strumento.
Lo Stato o qualche ente pubblico anche territoriale, se volesse però fare cassa con questo veicolo, potrebbe cercare di “svendere” il proprio patrimonio immobiliare a qualche soggetto (più estero che italiano) molto “liquido”.
Come cittadina italiana sono ovviamente contraria a una simile “stupida” decisione e, se venisse presa, vorrei verificare chi ne ha tratto vantaggi …
Titoli di Stato trentennali con cedola pari ai Bund tedeschi e con capitale e interessi garantiti da immobili pubblici (di fatto si tratta di ABS, ovvero assets backed securities, ma senza la necessità di creare la SPV cioè la “società veicolo”).
Questa è la via per consentire allo Stato (al “pubblico in genere”) di fare cassa rapidamente conun costo per interessi contenuto.
Poiché l’Italia ancor prima dei futuri tagli sui costi dell’apparato pubblico ha un avanzo annuo positivo al netto del costo degli interessi, se venissero emessi titoli ABS come sopra indicato per 400 MLD di euro (in parte come titoli in sostituzione di titoli in scadenza e in parte come titoli di nuova emissione), lo Stato italiano risparmierebbe circa 10 MLD di euro/anno per il positivo differenziale di interessi (pari ad almeno 250 bp).
Inoltre lo Stato italiano potrebbe utilizzare questi titoli per rimborsare una parte dei propri debiti.
Se poi a questi titoli (di taglio ad esempio di 1.000 euro o meglio ancora di 500 o di 100 euro) si desse la dignità di mezzo di pagamento, tutta l’economia nazionale ne trarrebbe un grande vantaggio.
Certamente questa non è che la prima parte del lavoro del Governo e del Parlamento.
Occorrerà difendere queste decisioni a livello europeo e occorrerà organizzare non una ma più commissioni (15 o 20 Commissioni al massimo) incaricate ciascuna della valorizzazione di una parte dei beni pubblici da mettere a reddito e poi da vendere (con le modalità sopra indicate: ove possibile cedendo non la proprietà piena ma diritti parziali come ad esempio il diritto di superficie, etc.).