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E’ in distribuzione Economia Immobiliare n° 43, primo semestre 2012

 


Social Housing: Italia a confronto con l'Europa in un Convegno di Finlombarda a Milano

30 Aprile 2009

Si è tenuto oggi a Milano, presso Palazzo Clerici e alla presenza di un pubblico numeroso - il Convegno “Finanza & Housing sociale” organizzato da Finlombarda - Finanziaria per lo sviluppo della Lombardia, con il patronato di Regione Lombardia.
Il Convegno ha preso le mosse anche da quanto emerso dall’analisi - estremamente ben fatta - realizzata da Finlombarda sui modelli di finanziamento e gli strumenti finanziari per la realizzazione degli interventi di social housing in Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Paesi Bassi, presentata dal Direttore Generale della finanziaria, Marco Nicolai. Ha offerto un overviews nella UE Laurent Ghekiere, Rappresentante dell’Unione Sociale puor l’Habitat presso l’UE, e hanno fornito numerosi particolari e commentato la situazione nei rispettivi Paesi di appartenenza Steven Wincox, Professore presso il “Centre for Housing Policy dell’Univesrità di York (UK), Sebastian Garnier, Policy Officer di Aedes (Paesi Bassi), Jean Pierre Schaefer, Responsabile Studi Economici di Caisse Des Depots (Francia) e Cristiana Droste, Direttore di UrbanPlus Droste & Partner (Germania).

Ecco qui di seguito la Nota di Finlombarda.

"Il Convegno ha teso a evidenziare l’esigenza che al centro delle politiche della casa siano collocati gli strumenti a supporto dell’housing sociale “moderno” rispetto a quello tradizionale, incentrato su un funding prevalentemente pubblico. La distinzione tra i fabbisogni del social housing tradizionale rispetto a quelli dell’housing “moderno” si colloca nella demarcazione tra le esigenze abitative della popolazione al di sotto della soglia di povertà, che dalle recenti stime di Banca di Italia nel 2006, ha un reddito medio annuo di 12.000 euro, e chi guadagna di più. In realtà, “chi guadagna di più” non vede comunque garantita la sostenibilità delle proprie esigenze abitative: infatti, con 1.500 euro mensili e 85.000 euro di mutuo si acquistano meno di 30mq a Roma e Milano; con un reddito ben al di sopra della soglia di povertà pari a 2.000 euro e 112.000 euro di mutuo si acquistano tra i 30 e i 40mq e con redditi tra 2.500 e 3.200 euro e un mutuo compreso tra 138.000 e 175.000 si arriva ad acquistare un appartamento di 45mq a Milano.
Non a caso il Cresme stima che nel disagio abitativo permangano circa 1.758.000 famiglie, di cui quasi 150.000 con redditi medio-alti comprese nelle soglie sopracitate. Nella periferia di Milano una famiglia dal reddito medio di 25.000 euro annui, ipotizzando che utilizzi 1/3 dello stipendio per ammortizzare l’investimento, impiegherà 38 anni per acquistare un appartamento di 70mq. Nel 1998, con il reddito e i costi equivalenti di allora, la stessa famiglia avrebbe dovuto programmare 28 anni per ammortizzare l’investimento: tra il 1998 ed oggi, il mismatching tra costo immobiliare e crescita dei redditi richiede altri 10 anni di lavoro. Tutto ciò mentre ISTAT dichiara che il 15% delle famiglie non arriva a fine mese e il 50% delle stesse vive con 1.900 euro al mese.
La nuova emergenza abitativa trova sicuramente nell’asimmetria tra evoluzione prezzi delle case e incremento dei redditi una sua significativa rappresentazione. Se prendiamo i dati Hypostat 2007, pubblicati da European Mortgage Federation, con l’esclusione della Germania che adotta una regolamentazione dei prezzi, tutti gli Stati hanno visto crescere significativamente i valori immobiliari. In Italia si parla del 101%, pari a quasi 10 volte l’aumento del reddito pro capite stimato per lo stesso periodo di tempo in un 13%. Ad accompagnare l’aumento dei prezzi va sicuramente iscritta una notevole espansione creditizia, un’innovazione nel settore del credito immobiliare privato e una riduzione dei tassi di interesse degli ultimi anni. In Italia, secondo i dati dell'European Mortgage Association, la percentuale di incidenza dei mutui residenziali complessivi rispetto al PIL è più che raddoppiata, passando dall’8% nel 1998 al 19% nel 2007, sebbene in Italia vi sia maggiormente prudenza: l’incidenza dei mutui sul PIL raggiunge l’86% nel Regno Unito e il 100% nei Paesi Bassi.
Prendendo come indicatore l’importo medio pro capite dei mutui, si nota come, sebbene gli italiani rimangano i meno indebitati con un importo medio di 4.700 euro per abitante, significativamente inferiore ad esempio a Paesi Bassi e Regno Unito che hanno rispettivamente una media di 34k e 28k euro (mediamente un italiano ha in capo un debito pari ad 1/6 rispetto ad un Olandese, 1/5 di un Inglese, 1/3 di un tedesco o spagnolo, ½ di un francese), nel corso di un decennio il livello medio di indebitamento è aumentato del 244%.
L’incremento della domanda è inscrivibile alla parcellizzazione dei nuclei familiari che, per la propria autonomia, tendono a trasferirsi in un’abitazione indipendente, e non solo alla crescita demografica. In Italia dal 1998 al 2006 la popolazione è cresciuta del 3,2% rispetto ad una crescita del 10,5% delle famiglie. Nel rapporto tra incremento della popolazione e incremento delle famiglie l’Italia è seconda solo alla Germania.
Per comprendere la complessità degli strumenti finanziari a supporto del social housing, è necessario prendere in esame tre componenti implementabili dal pubblico. Ogni sistema di social housing include, infatti, la leva normativa intesa come regolamentazione del mercato abitativo e accreditamento (ad es. Paesi che optano per un mercato regolamentato sono Germania e Paesi Bassi; con l’eccezione di Italia, Spagna e Germania, tutti i Paesi hanno una radicata esperienza nell’accreditamento di operatori privati, profit e no profit, come nel caso delle housing association inglese, delle housing corporation dei Paesi Bassi e degli operatori delle HLM francesi).
Strettamente connessa alla normativa, la leva urbanistica, che impone una percentuale di alloggi sociali a fronte di concessione edificatoria - come, ad esempio, il Plan de la Vivienda spagnolo, che prevede delle percentuali minime di alloggi da locare a canone moderato per le nuove costruzioni nei grandi centri urbani, e Immobiliare Veneziana in Italia, che nel 2008 ha messo a bando un’area di proprietà nel Comune di Venezia. A fronte del diritto di proprietà sugli alloggi costruiti sull’area, i partecipanti al bando dovevano garantire al Comune un numero minimo di alloggi a canone moderato, che si prevede rimangano nelle disponibilità del Comune stesso.
Anche la leva fiscale ha un peso significativo: all’estero, dove in particolare la Germania fa ampio ricorso alla leva fiscale (dagli ammortamenti anticipati, alla esenzione degli utili, alla riduzione dell’aliquota IVA), è presente un sistema di incentivi fiscali, ma esteso all’affitto oltre che alla vendita/acquisto. In Italia la leva fiscale è più che altro un incentivo alla proprietà (si pensi alla aliquota agevolata IVA al 4% sulla prima casa).
Per quanto riguarda la leva finanziaria, esempi di strumenti tradizionali si trovano in Francia con l’1% Logement, una contribuzione dovuta dalle imprese che impiegano più di 20 dipendenti (post riforma del 2005), equiparabile alla contribuzione ai fondi Gescal in Italia, ad esempi di strumenti moderni, come i prestiti subordinati statali interst free delle Housing and Communities Agency dell’Inghilterra o alle forme più sofisticate di garanzie pubblica e privata del modello olandese.
Da un punto di vista economico - finanziario, se presupponiamo l’esigenza di un leverage con gli operatori privati, non possiamo non considerare che le iniziative di social housing faticano a collocarsi ad un livello di rimuneratività interessante per gli operatori privati. Analizzando i rendimenti attesi per tipologie, dalle rendite che vanno dall’housing sociale tradizionale a quelle del mercato immobiliare, si nota una significativa divergenza: se tipicamente il rendimento di un immobile residenziale in affitto è compreso tra il 4% e il 5% del valore di mercato, nel momento in cui viene sviluppato direttamente dall’operatore, il rendimento, che sconta il margine realizzato con la costruzione sta in una forbice tra il 7% e l’8%. Se però la costruzione viene destinata alla vendita i rendimenti aumentano significativamente. Per compensare il rendimento di un asset del social
housing alle aspettative di mercato, l’intervento pubblico deve intervenire per colmare un gap che sta in una forbice del 6-7% di rendimento. L’intervento pubblico sarà più contenuto laddove siano coinvolti operatori etici o soggetti no profit.
Con riferimento alle fasi dell’investimento immobiliare di social housing, per rendere l’investimento più sostenibile agli operatori è possibile utilizzare una strumentazione che:

• nel caso dell’acquisto dell’area, sono, ad esempio, la cessione di aree a basso costo oppure le cessioni e diritti di superficie a lunghissimo termine;

• nel caso della costruzione, sono, ad esempio, finanziamenti agevolati: tra i principali esempi, si ricorda quello di Caisse des Depots in Francia, che raccoglie e gestisce le ingenti somme del risparmio postale e ne destina una parte all’Housing Sociale e quello di The Housing Corporation in Inghilterra, che raccoglie provvista sul mercato finanziario da dedicare al social housing; garanzie pubbliche: l’esempio più innovativo è offerto dal modello olandese, che prevede l’abbinamento di un fondo di garanzia privato, WSW, alimentato da contribuzioni volontarie delle housing association, che gode di una garanzia di ultima istanza pubblica dallo Stato centrale e dalle municipalità, e il fondo CVF, un fondo di garanzia pubblico alimentato da contribuzioni obbligatorie delle Housing Association;

• nel caso dell’alienazione degli asset sono, ad esempio, finanziamenti agevolati agli inquilini, come in Inghilterra con i piani di incentivi all’acquisto, “HomeBuy Scheme”, un prestito in c/capitale che permette alle famiglie di accedere ad un mutuo.

Il quadro abitativo nel panorama europeo [fig.1] vede dominante la proprietà dell’alloggio rispetto alla locazione: le punte massime si toccano in Spagna e Italia con rispettivamente l’85% e il 75% Un’eccezione di rilievo è rappresentata dalla Germania, che presenta invece un mercato improntato sull’affitto (57% di alloggi in affitto). Per quanto concerne lo sviluppo di edilizia sociale, Germania e Paesi Bassi guidano la classifica con oltre il 30% di alloggi gestiti in locazione sociale. In Italia e Spagna il panorama è molto diverso, rispettivamente con il 4% e l’1% sul totale degli alloggi gestiti in locazione sociale.
Dall’analisi condotta confrontando il livello di presenza dei privati, l’intensità delle risorse pubbliche investite in social e affordable housing e gli alloggi a canone moderato (social e affordable) per 1000 abitanti (comprensivi degli alloggi sociali e di quelli a canone sostenibile), è emerso come l’Italia e la Spagna rimangono in una posizione arretrata nell’iniziative di social housing, sia sul fronte delle risorse pubbliche impegnate, sia nel grado di copertura del fabbisogno.

L’impegno della Regione Lombardia
A partire dal 2004, la Lombardia ha definito un proprio sistema di edilizia pubblica, cercando di superare le ristrette categorie ereditate dallo Stato (sovvenzionata per i più poveri e agevolata/convenzionata in vendita per il ceto medio). In questo contesto, si sono succeduti numerosi provvedimenti finalizzati a realizzare abitazioni a canone ragionevole per il “ceto medio in difficoltà”, con minori risorse regionali, sostenibili da un punto di vista economico e con procedure responsabilizzanti per il soggetto realizzatore e gestore. In questo senso va letta la definizione di canone moderato, convenzionato e per gli studenti. Infine, con le recenti norme sull’integrazione sociale e sulla valorizzazione del patrimonio è stata formalizzata in norma la possibilità di diversificare il patrimonio in un’ottica di superamento del tradizionale quartiere/ghetto e di reperimento delle risorse necessarie per lo sviluppo. Nell’VIII legislatura (2005/2010) Regione Lombardia ha impiegato risorse pari a 1.160 milioni di euro per attivare 950 cantieri (di cui 780 aperti) per un totale di 23.550.alloggi (5.150 ultimati, 12.000 in costruzione). Il patrimonio ERP è di 110.000 alloggi di cui 106.000 delle Aler.

Conclusioni
Punti di forza dei modelli di social housing più evoluti analizzati sono:

• la presenza di sistemi di accreditamento per operatori privati, principalmente no-profit, in grado di rispondere alle esigenze di massimizzazione degli investimenti grazie al canale privato e, al tempo, stesso evitare fenomeni speculativi;

• l’efficacia di iniziative di social housing su base locale e di un financing più centralizzato in grado di creare “massa critica” ed ottenere migliori condizioni di finanziamento. La realtà dei Paesi Bassi, unica nel suo genere, mostra come un complesso e articolato sistema di garanzie e controlli permetta una spesa pubblica minima a fronte di elevati finanziamenti privati;

Il settore pubblico può reinterpretare il proprio ruolo, attivando sul territorio una serie di strumenti per incentivare l’accesso ai capitali privati anche per quei soggetti (operatori sociali ma senza escludere i soggetti for profit) che vogliano attivarsi in iniziative di social housing. Il ruolo del pubblico, che pure è imprescindibile nel definire le politiche di regolamentazione del mercato abitativo, si mostra quindi in evoluzione: il pubblico, anziché finanziare direttamente le iniziative, ne agevola la raccolta di risorse mettendo a disposizione la propria massa critica.
Al Convegno di oggi hanno dato il loro contributo gli interventi di: , Lorenzo Bellicini, Direttore Tecnico del Cresme, Roberto Brustia, Dottore Commercialista di CBA Studio Legale e Tributario, Annamaria Pozzo, Direttore Tecnico di Federcasa, Gualtiero Tamburini, Presidente di Nomisma, Matteo Del Fante, Responsabile Direzione Immobiliare di Cassa Depositi e Prestiti, Fabio Vittorini, Responsabile politiche commerciali di Dexia Crediop, Sergio Urbani, Consigliere Delegato di Fondazione Housing Sociale, ed Ezio Micelli, Presidente Immobiliare Veneziana" (CS della Società).







 

 

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