Editoriali

 
Berlino riflette sulla storia: Hitler nella "cantina" del Deutsches Historisches Museum

01 dicembre 2010

di Manuela Frésard, da Berlino

Mentre provocanti atti di critica della politica d’immigrazione e controverse dichiarazioni sul fallimento dell’integrazione sociale infuocavano l’opinione pubblica tedesca, apriva a Berlino l’ottobre scorso, dopo due anni di preparazione, la mostra “Hitler und die Deutschen, Volksgemeinschaft und Verbrechen” (Hitler e i tedeschi. Comunità nazionale e crimine) allestita al Deutsches Historisches Museum, il Museo di storia tedesca.
L'esposizione ha registrato e continua a registrare un vero e proprio boom di visitatori e di interesse mediatico, forse a dimostrazione che le questioni di identità nazionale e di confronto con la coscienza storica del popolo tedesco sono più attuali che mai.

Se il filo conduttore della mostra segue le tappe biografiche del cosiddetto Führer del Terzo Reich, dalla costruzione del mito al suo declino – con annessa, a sollievo del visitatore, una sezione finale con una ridotta selezione di rappresentazioni di Hitler, in chiave satirica e non, nel cinema e nell’arte dopo la sua morte – l’accento dell'esposizione sembra essere puntato invece soprattutto sulle modalità d’interazione del personaggio con il popolo tedesco, sull’effetto della propaganda nazionalsocialista sulla popolazione, su quella che alcuni hanno chiamato l’uniformazione della società tedesca del tempo. L’obiettivo dell’installazione pare dunque teso alla riflessione sulle motivazioni del fascino esercitato dal dittatore, come anche sull’entità del coinvolgimento, del consenso e quindi della responsabilità della popolazione protagonista del capitolo più buio della storia moderna europea.

Una tematica complessa, a cui i curatori della mostra hanno voluto rispondere in chiave iconografica, cercando un approccio simbolico per illustrare lo stato attuale della storiografia e coniugare il fascino e l’idealizzazione della “comunità nazionale” con l’effetto concreto e le conseguenze disastrose del “crimine”. La mostra si propone dunque come esperienza soprattutto visiva, quasi concreta, una documentazione storica attraverso le immagini, i simboli e gli oggetti che furono parte integrante della quotidianità nello stato nazista. Tali reperti assumono significati attraverso l'attenta regia e l’accurato allestimento scenico da parte degli studiosi e degli allestitori.

La mostra è ospitata nell’oscurità del seminterrato del nuovo padiglione dedicato alle mostre temporanee, progettato da Ieoh Ming Pei e ultimato nel 2004. Il moderno edificio appare come incuneato a ridosso della facciata posteriore del palazzo settecentesco ospitante la collezione permanente del museo di storia, che campeggia, piacevolmente dipinto di rosa, sulla Unter den Linden. Un passaggio sotterraneo assicura il collegamento tra i due edifici, separati all’esterno unicamente da un silenzioso vicolo pedonale che conduce direttamente alla riva della Sprea. L’opera di Pei accoglie il visitatore in realtà molto generosamente sul piano strada con un complesso di trasparenze, riflessi, ampi spazi e intricate geometrie. La caratteristica torre a spirale in vetro e le fluide ma discontinue superfici del foyer ne fanno un leggero e moderno pendant dell’imponente “Zeughaus” barocco, anch’esso ristrutturato e integrato dall’architetto cinese con una splendida volta di vetro che sormonta il cortile interno.

La “cantina”, adeguata, a detta ironica dell’architetto curatore Klaus-Jürgen Sembach, a ospitare un personaggio come Hitler, si snoda su 1000 metri quadrati entro una forma quanto mai stravagante, un trapezio sovrastato da un pentagono irregolare, una sorta di C che si ripiega su se stessa, praticamente priva di angoli retti. I percorsi sono stati studiati per dare già, senza ricorrere a lunghe descrizioni e narrazioni scritte, una lettura visiva degli eventi. Punti di fuga e aperture appositamente studiate proiettano lo sguardo del visitatore al di là del momento storico trattato nella rispettiva sezione, evidenziando la complessità e l’unitarietà tematica. Così uno squarcio in una parete all’inizio della visita permette di collegare il giovane Hitler agli esordi della carriera direttamente con un ritratto del Führer malato e allo stremo, dall'altro lato del percorso. Il muro che separa i due poligoni non solo divide la mostra in due, ma costituisce anche l’ingresso simbolico nella fase più tragica della storia del regime nazionalsocialista, cioè l’entrata in guerra. Persino l'uscita non è propriamente “through the gift shop”, ma riconduce il visitatore nella prima sala, suggerendo una certa continuità e circolarità della storia, che sembra non avere esaurito le sue riflessioni sulla figura di Hitler, e che induce a essere ripercorsa e reinterpretata continuamente.

Tali accorgimenti simbolici stanno alla base dell’architettura del percorso e rispecchiano il principio costitutivo di tutta la mostra: la contrapposizione, il doppio sguardo, il duplice punto di vista, dal basso e dall’alto. Se la scelta di documentare la storia attraverso le immagini e gli oggetti ricalca e palesa la strategia propagandistica propria del Terzo Reich, il criterio del loro allestimento è quello del confronto e del contrasto: alle espressioni idealizzanti naziste sono contrapposte raffigurazioni delle reali conseguenze prodotte da tale follia di potere, la retorica idolatrante viene volutamente offuscata con le sconsolanti immagini dei crimini perpetrati.
Per primi si offrono al visitatore tre diversi ritratti di Hitler, riprodotti su un supporto in garza che, al mutare cadenzato dell’illuminazione, fanno scorgere altre immagini sottostanti, le adunate oceaniche, le deportazioni di massa, adulazione e distruzione. L’osservazione di una rappresentazione pittorica della marcia verso est è disturbata da frasi di prigionieri russi incise sul vetro di protezione. Una sideboard finemente intarsiata proveniente dallo studio del Führer è esposta ad altezza occhi su un piano leggermente inclinato che ne suggerisce l’imminente instabilità.
Le immagini di propaganda proposte non sono quelle più tradizionalmente note. La minuziosa selezione si esprime ad esempio attraverso una serie di piccole fotografie che ritraggono Hitler oratore: gli evidenti ampi gesti teatrali svelano una ricercatezza d’immagine che rimanda alle modalità espressive del cinema muto. Muta è tra l’altro anche la mostra, che non include testimonianze acustiche di tali comizi. E ancora troviamo riprese video del dittatore che attraversa la folla festante in auto e quindi in aereo prima dell’atterraggio, che testimoniano l’impatto visivo di quello che veniva considerato il salvatore della nazione. Tale suggestione è tradotta nelle lettere di adulazione, presentate qui per la prima volta, inviate dai bambini in occasione del compleanno del loro amato “Zio Adolfo”.
Seicento sono gli oggetti esposti alla mostra: alcuni suggeriscono il fascino provato per la tecnologia moderna, come la radio, l’automobile, il telefono. Altri interessano riproduzioni di massa dei simboli nazisti applicati ai beni di consumo più comuni e diffusi, come spille, figurine, piastrine, carte da gioco; la serie di busti del Führer in diversi formati e fogge; le uniformi non solo dei ranghi militari, ma anche di altri ruoli professionali; i giocattoli per bambini, con soldatini, aeroplanini e tavole da gioco di guerra; l’ammaccato contenitore di latta di raccolta delle offerte per il partito; fino al paramento di dubbio valore estetico, ma pezzo forte della mostra, cucito e ricamato nel 1935 dall’associazione delle ragazze tedesche di Rothenburg an der Fulda, che illustra su otto metri quadrati schiere di religiosi che portano trionfanti la croce uncinata in chiesa.

Il professor Hans-Ulrich Thamer, storico e curatore della mostra, ammette di avere operato una certa censura nella scelta delle immagini legate al leader nazionalsocialista, motivata dal non avere voluto concentrarsi sul personaggio, per evitare di ispirare sentimenti nostalgici o nefaste riglorificazioni del mito. Alla domanda postami da un amico: «Allora, com’era Hitler?» mi pare di dovere rispondere con un’altra domanda, che sembra riflettere l’intenzione della mostra: «Allora, com’erano i tedeschi?»
I numeri da record di affluenza – 115 mila presenze a un mese e mezzo dall’apertura – dimostrano quanto interesse e curiosità questa tematica sappia ancora suscitare nei visitatori sia tedeschi che stranieri. Nonostante una trattazione di questo tipo possa non rispondere sempre alle attese degli appassionati, essa produce tuttavia un'esperienza sicuramente intensa, sia per la varietà e l’originalità dei reperti sia per le questioni che inevitabilmente solleva.
Un ricco programma di seminari, incontri, proiezioni e visite guidate accompagna la mostra, che potrà essere visitata fino al 6 Febbraio 2011. (sito della mostra: http://www.dhm.de/ausstellungen/hitler-und-die-deutschen/index.html)

Le foto si devono all'autrice del testo.


Cartellone


Ingresso DHM Unter den Lind


DHM


Ingresso Pei, con riflesse le torri


Retro edificio Pei


Torre Pei


Tra i due edifici