Editoriali

 

Frank O. Gehry alla Triennale di Milano
27 settembre 2009 - 10 gennaio 2010

di Lorenzo Taini

Frank O. Gehry è tra gli architetti di cui si è più scritto nella storia. Recentemente è uscito addirittura un film/documentario a lui dedicato, girato dal regista Sidney Pollack. Questo per dire che sarebbe difficile scrivere qualcosa di nuovo sul grande architetto canadese e sul suo modo di approcciare la progettazione e la concezione dell’edificio. Alcuni episodi della sua carriera sono diventati ormai aneddoti mitologici anche fuori dai ristretti ambienti dell’architettura. Il più famoso è senza dubbio l’episodio dei fogli di carta stropicciati .
Erano i giorni in cui lo studio di Gehry preparava le prime analisi volumetriche di quello che sarebbe diventato il Guggenheim di Bilbao. Come si fa in ogni studio che si rispetti gli assistenti avevano preparato per quella mattina un perfetto plastico della zona bordofiume in cui sarebbe sorto il Museo e una infinita serie di volumi in legno d’ogni forma in tutto e per tutto simili a una collezione di costruzioni da bambino.
Nel canonico procedere di uno studio volumetrico Gehry avrebbe “giochicchiato” con quella fornitura di pezzi di legno fino a ottenere una prima idea di quelle che sarebbero state le forme dell’edificio. La leggenda racconta che invece quella mattina l’architetto, entrato in studio e sedutosi al grande tavolo su cui stava il plastico della zona siderurgica di Bilbao, avrebbe cominciato a stropicciare e appallottolare qualche foglio A4 per poi posarlo al centro del modellino come si sarebbe dovuto fare con le costruzioni appositamente preparate.
In questo gesto leggendario e comico assieme, leggiamo oggi chiaramente tutta la differenza di approccio formale al progetto di cui si parla quando si tratta il mestiere di Frank O. Gehry e leggeremo probabilmente domani, il simbolo e l’origine di un nuovo atteggiamento progettuale generico, un nuovo modo di concepire l’architettura e le sue forme esteso, e non circoscritto alla singola opera di un architetto. Quella che comincia con i fogli stropicciati di Gehry è l’architettura del nuovo secolo, l’architettura progettata dall’uomo ma realizzata grazie a sistemi di calcolo che solo le macchine elettroniche possono permettersi.
Quella che Davide Rampello, Presidente della Triennale di Milano e Germano Celant, Curatore e Critico, hanno presentato in anteprima alla stampa il 26 settembre alla Triennale è una Mostra di Frank Gehry che non intende ripercorrerne la storia e che quindi non farà ripetizioni. Il titolo dell’esposizione è di per sé inequivocabile: “ Frank O. Gehry dal 1997 “. In mostra i lavori più recenti dell’architetto e del suo studio, una gran quantità di bozzetti e schizzi, modellini e video tecnici. Un giro completo e suggestivo dentro l’immaginario dell’architetto canadese, fatto di trasparenze e riflessi, di forme leggere e altamente estetiche. Forme a volte stupefacenti, a volte eccessive, a volte materne, altre contorte ed estranianti.
Per definire il lavoro di Gehry i critici hanno inventato il termine “ logotettura “, molti criticano la ripetitività dell’archistar, altri semplicemente non ne condividono gli sprechi.
Si è scritto che quella di Gehry è arte almeno quanto è architettura, sicuramente dell’arte ha alcuni eccessi. Usciti dalla Mostra alla Triennale di Milano si ha chiaro in testa che per quanto possano essere belli non tutti i progetti vale la pena realizzarli.