Editoriali

 
Milano: le osservazioni di Assoedilizia al "Piano di Governo del Territorio"
11 gennaio 2010

Assoedilizia, in occasione della discussione in Consiglio comunale del Piano di governo del territorio, richiama l'attenzione della Amministrazione Comunale su alcune questioni focali, auspicando una riflessione in merito.

Assoedilizia si riserva di presentare le OSSERVAZIONI formali.

1) Dal dirigismo della programmazione pubblica in attuazione del PRG, alla liberta'edificatoria privata: la flessibilita' del PGT.

Da un estremo all'altro nell'urbanistica di Milano.

Vent'anni fa ogni intervento edilizio di un certo rilievo, non solo era previsto e disciplinato a priori dalla amministrazione comunale, ma addirittura veniva dalla stessa programmato nella sua tempistica, attraverso un documento di piano valido per un certo numero di anni, il programma pluriennale di attuazione.

Un rigoroso dirigismo pubblico che mal si conciliava con l'esigenza operativa di secondare gli investimenti, in aderenza con le tendenze e le esigenze della citta' e del mercato; ma che si giustificava con il principio secondo cui non è l'urbanistica a determinare l'economia, bensi' quest'ultima a generare e orientare lo sviluppo urbano.

Oggi stiamo andando verso un assoluto liberismo, nel quale, sono affidati alla autonoma scelta da parte dell'operatore privato non solo i tempi, ma anche e soprattutto il tipo e le modalita' dell'intervento edilizio ed il genere di regole applicabili : basta mettersi d'accordo con la amministrazione comunale,adeguatamente convenzionando l'intervento.

2)Il rapporto tra i nuovi interventi all'interno del centro edificato e il tessuto urbano preesistente.

Con l'introduzione del principio della indifferenza delle destinazioni funzionali,correlativa al venir meno degli azzonamenti, dove c'era un palazzo residenziale si potra' fare ad esempio un albergo o un edificio ad uso uffici; e combinando questa regola con quella dell'acquisizione perequativa dei volumi, si potra' aumentare la volumetria,magari attraverso una sopraelevazione.

Si dirà: cosa c'è di meglio per andare incontro alle tendenza della città?

È il privato che si assume la responsabilita' della rispondenza dell'operazione urbanistica alla domanda del mercato, che in fondo è la tendenza della città.

Ma le distorsioni cominciano a profilarsi quando non è la valutazione delle tendenze di mercato a determinare le scelte di investimento, ma la semplice disponibilita' di mezzi finanziari.

Come si spiegano i milioni di metri cubi di terziario realizzati negli anni scorsi a Milano e rimasti sino ad oggi inutilizzati? E dire che all'epoca sussisteva pure una maggiore interferenza del potere decisionale pubblico, rispetto alle scelte private di oggi.

Si obietterà: se l'operatore privato sbaglia i conti sono fatti suoi.

In fondo è solo lui che ci perde.

Se la cosa fosse così semplice non ci sarebbero problemi; ma così non è .

A parte la compromissione a vuoto del territorio, le interferenze nei rapporti privati di vicinato,altezze, luci e vedute ,dobbiamo considerare che un'operazione edilizia sbagliata, anche se non sfocia nel fallimento dell'impresa, reca pregiudizio all'interesse collettivo sotto alcuni profili.

Intanto, queste nuove strutture edilizie debbono prima o poi esser "forzosamente" riconvertite ad usi più economici.

E qui si dà luogo ad un processo di assorbimento delle relative funzioni nel contesto urbano, i cui effetti non sono stati valutati, ne' potevano esserlo, al momento della loro progettazione e realizzazione: e la valutazione ex post non è certamente libera, ma risente di una serie di condizionamenti, primo fra tutti quello legato alla opportunita' di non distruggere una "ricchezza" esistente.

Con tutte le conseguenze di impatto, nel bene e nel male; e l'incremento dei carichi insediativi e gravitazionali conseguente.

Ma immaginiamo che questo processo di "nascita spontanea" di iniziative edilizie (che peraltro,come dicevamo, non è da escludersi nella logica del piano di governo, che il comune di Milano si accinge a varare, dove si combinano i principi della indifferenza delle destinazioni funzionali con quello dell'acquisizione in sede perequativa delle volumetrie) intervenga nell'ambito del tessuto urbano consolidato.

Se l'operazione edilizia, dunque, è antieconomica e produce un blocco funzionale di strutture edilizie precedentemente inserite nel dinamismo dell'ambiente urbano circostante, si produce uno squilibrio che non puo' che risolversi in danno collettivo dell'intero contesto.

Insomma, tanto per fare un esempio semplice, se svuoto un edificio residenziale dove abitano numerose famiglie e ne faccio un bel palazzo ad uffici, che poi rimane inutilizzato per anni, immaginiamo come saran contenti i negozianti dei dintorni, che hanno perduto parte dei loro clienti.

Al proposito occorre dunque riflettere sul fatto che i valori, legati a loro volta alla funzionalita', degli immobili appartenenti ad un medesimo contesto urbano sono tra loro strettamente interdipendenti: nel senso che , come la valorizzazione dell'uno ridonda a favore degli altri, così viceversa il degrado o la dequalificazione dell'uno svilisce il pregio dell'altro.

Parimenti se,pur senza ricadere in ipotesi di programmazione economica errata in radice, si costruisce troppo, si produce un eccesso di offerta che danneggia gli investitori consolidati.

E dunque, questa situazione deve far pensare alla scarsa ragionevolezza, per non dire scarsa saggezza amministrativa, insita in una programmazione di operazioni edilizie che presentino il rischio di non aver alcuna correlazione con verificate esigenze del mercato.

La passata esperienza dimostra che il semplice interesse dell'investitore, a "varare" una certa operazione immobiliare, non è garanzia sufficiente a verificare la rispondenza della stessa alla domanda di mercato.

Se le operazioni immobiliari, avulse da un contesto di economicita', possono dunque produrre inaccettabili scompensi all'interno dell'economia cittadina del settore, si suggerisce che, in sede di pianificazione di governo del territorio, i meccanismi di controllo e di verifica della programmabilita' dell'intervento edificatorio, quando esso comporti modifiche di destinazioni funzionali, aumenti volumetrci e di altezza di edifici esistenti, non siano affidati alla valutazione contingente del "caso per caso" ( sia pure attraverso lo strumento del piano attuativo) man mano che si presenta, ma siano adeguatamente previsti in via di normazione generale.

3) Il rapporto con il Piano-casa.

Si deve porre poi il problema di come si combinano la logica e le norme del PGT con quelle del cosiddetto piano-casa disciplinato dalla legge 13 del 2009 della Regione Lombardia, integrato dalla Deliberazione del Consiglio Comunale n. 44 del 14 ottobre 2009 Prot. Gen. 773872.

Se il piano di governo dovesse entrare in vigore ( come auspichiamo ) ento 18 mesi dal 16 ottobre 2009, potrebbe accadere che gli interventi edilizi di "sostituzione" degli immobili, assentiti entro questo termine, fossero realizzati anche con incremento volumetrico, prescindendo dalla acquisizione perequativa, ed in deroga al vincolo di mantenimento delle destinazioni funzionali, nel frattempo soppresse dal PGT ?

-E, poi, gli incentivi edificatori previsti dal PGT si sommerebbero con quelli ammessi dalla legge 13/2009 della legge Regione Lombardia?

Occorrera'dunque,in tale ipotesi, che il Comune detti "a priori" una disciplina transitoria per regolare la sovrapposizione dei due strumenti normativo-pianificatori.

Inoltre oggi stiamo adottando un piano nel quale manca ogni valutazione degli effetti che la legge 13/2009 della Regione Lombardia potra' produrre all'interno del tessuto urbano

della citta' in conseguenza di tutti gli interventi edilizi, in deroga al P.R.G. vigente, previsti dalla legge stessa.

4) Tutti i trasferimenti di volumetrie inerenti alle acquisizioni in sede di perequazione, dovrebbero essere gestiti ed effettuati mediante l'interposizione di una BORSA dei volumi che auspichiamo sia emanazione dell'ente pubblico, a garanzia della trasparenza,della equidistanza fra i privati e ad evitare che possano intervenire trattamenti asimmetrici a danno di soggetti privati portatori di interessi più deboli e quindi dotati di una minore capacita' di interlocuzione con l'Amministrazione pubblica.