milano, mercoledì 21 novembre 2012

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Una vita in gioco, di Mauro Castelli, Gruppo Sole 24 Ore, Euro 25,00.  

 

E’ in distribuzione Economia Immobiliare n° 43, primo semestre 2012

 


Non solo Real Estate

 

Investire in cultura buona abitudine civile

10 ottobre 2011

 

Convegno alla Camera di Commercio di Milano sul partenariato pubblico privato nella conservazione dei beni artistici

di Lorenzo Taini

Lo stato dei Beni Culturali italiani è  critico, l’argomento non è nuovo e l’incombenza che il nostro Paese gestisce,  inutile dirlo, è a dir poco fuori norma. Possedendo l’80% del bene culturale europeo, dovremmo destinarvi percentuali direttamente proporzionali di finanziamento, ma questo lo sappiamo, è impossibile.

La distribuzione uniforme sul territorio di beni artistici e storici rende ulteriormente complicata la loro amministrazione e, più di ogni altra cosa, la loro produttività. Il sistema oggi vigente( quello del maxi museo in cui si realizzano mostre-evento e in cui è già un evento passeggiare) è un sistema che nella nostra Italia non è replicabile, o meglio, è replicabile ma non all’infinito. Non possiamo immaginare di avere mille Maxxi o mille Musei del 900 sparsi per il Paese, non possiamo sperare che cambiando l’involucro alle migliaia di opere presenti sul territorio aumenteremo in automatico le visite e gli incassi. Non possiamo costruire un Guggenheim di Bilbao in Calabria per i Bronzi di Riace, perché resterà deserto come’è deserto oggi il Museo Nazionale di Reggio Calabria. Non possiamo nemmeno continuare a raccontarci la favoletta che vuole un ristorante, un bar, una SPA, inclusi in ogni museo del Paese. Nessuno ha davvero voglia di credere che la salvaguardia dei beni artistici passi per la ristorazione, sarebbe come venire a patti con l’assunto secondo cui di libri non si mangia e che di mangiare non si smetterebbe mai, ma di leggere si può anche smettere.

L’Italia è un paese unico che ha nella sua unicità proprio questa infinita cultura traboccante da ogni angolo, da ogni paesaggio, da ogni piazza. Conservarla è un dovere del cittadino, prima ancora che dell’amministrazione.

Il bene pubblico è un bene nostro, che di noi racconta la storia. Come lo trasformiamo, come lo conserviamo, come lo raccontiamo agli altri, è in sostanza quello che siamo in quanto uomini, cittadini, individui.

«Il Patrimonio è di proprietà dei 60 milioni di cittadini che devono sentirlo proprio, che devono sentire il bisogno di conoscerlo e di valorizzarlo» (Marco Magnifico, Vice Presidente FAI).

Migliorare lo stato dei beni culturali italiani , ed evitare nuovi crolli a Pompei, è lo scopo che si prefiggono le buone amministrazioni, i buoni cittadini e la buona classe imprenditoriale. Quello su cui bisogna discutere e ragionare non è ,quindi, l’opportunità di un partenariato con le imprese private, di questa opportunità nessuno ha dubbi, piuttosto di come questo partenariato debba esser gestito. Quel che stupisce è che l’italiano medio pare sempre disinteressarsi al patrimonio artistico del suo Paese, salvo poi, quando si tratta di cambiare le regole che lo gestiscono, reagisce sempre con un conservatorismo capace di sfiorare l’immobilità. Vogliamo il Duomo di Milano restaurato, ma non vogliamo i manifesti pubblicitari sul ponteggio, durante i restauri. Vogliamo visitare il Colosseo di Roma, ma non vogliamo che si “venda in esclusiva” a Della Valle.

“Parternariato pubblico-privato nella conservazione e valorizzazione del patrimonio storico culturale: finanza, sponsorizzazione, partecipazione”; era questo il titolo del convegno organizzato -lo scorso 10 ottobre 2011, e prodromico al calendario di “Milano nei cantieri per l’arte”- da Assimpredil ANCE assieme a Camera di Commercio di Milano, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Arcidiocesi di Milano. Coordinati da Salvatore Carrubba, Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, si sono alternati, presentando la loro testimonianza e i loro dati, Stefano Baia Curioni, del Dipartimento di Analisi Istituzionale e Management Pubblico dell’Università Bocconi, Stefano Boeri, assessore alla Cultura, Expo, Moda, Design del Comune di Milano, Angelo Caloia, Presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, Marco Magnifico, Vicepresidente FAI, Lorenzo Bellicini, Direttore del CRESME, Aldo Mazzocco, Presidente di Assoimmobiliare, Claudio De Albertis, Presidente di Assimpredil ANCE, Stefano Maullu, Assessore al Commercio, Turismo e Servizi di Regione Lombardia e  Luigi Grillo, Presidente della Commissione ai Lavori Pubblici e alle Comunicazioni del Senato

Una schiera di ospiti illustri, chiamati a dare la loro interpretazione del concetto e delle forme che il partenariato dovrebbe avere, degli scopi che il partenariato potrebbe raggiungere, in funzione dei dati raccolti da Baia Curioni, che ha descritto un Paese in cui i musei che producono profitto sono meno di dieci, in cui tutto è talmente stagnante che i margini di miglioramento possono essere definiti ottimi.

Per l’Assessore Boeri «valorizzare il patrimonio pubblico significa dare reputazione e dignità ai luoghi»; non sappiamo se sia questo lo scopo che muove gli industriali lombardi, ma i dati presentati da CCIAA Milano raccontano di una Lombardia in cui le imprese investono 800 milioni in cultura. Un’impresa su cinque sostiene attività culturali, alcuni dicono di farlo per motivazione ideale/etica, altri per l’immagine dell’azienda o per lo sviluppo dell’impresa o per migliorare i rapporti con le istituzioni; sono queste le motivazioni più frequenti.

Alla domanda diretta posta dall’indagine sulla responsabilità sociale delle imprese 2010 «lei sarebbe disponibile a sostenere il Duomo di Milano con un’attività promozionale?» il 34% degli imprenditori intervistati risponde un secco sì.

Questo per dire che ancora una volta, come sempre, le istituzioni ragionano e immaginano le forme di un partenariato che già esiste come consuetudine.

Ragionarne l’organizzazione, le regole e i fondamenti, significa quindi discutere di metodi nuovi, che ridisegnino l’idea stessa di fruizione del ben culturale.

Il patrimonio artistico, storico e culturale è il biglietto da visita che la nostra città offrirà ai turisti dell’Expo, quel che il convegno di ANCE sottolinea, è l’importanza di allargare l’offerta culturale il più possibile, distribuendo sul territorio l’utenza potenziale, orientando il turista verso esplorazioni ampie.

Il contesto musivo milanese e la sua stessa conformazione dispersiva rischiano infatti di trasformare il turismo di Expo, nel peggiore dei turismi “mordi e fuggi”. Immaginiamo orde di visitatori che sfilano verso il Duomo, passando di fronte all’Ambrosiana, ai suoi Codici leonardeschi, al suo Cartone della Scuola di Atene di Raffaello e alla Canestra di Frutta di Caravaggio, senza nemmeno sospettarne l’esistenza.

Il rischio più probabile, è insomma quello di presentare la città nel peggiore dei modi, congestionando e “consumando” i pochi siti artistici che rientrerebbero nei tour d’agenzia, come il Duomo appunto, o il Cenacolo o il Castello; e lasciando deserti, luoghi e musei d’eccellenza che la nostra città possiede e che possiedono anche i comuni della zona limitrofa all’Expo.

Che gli affreschi di Castelseprio siano più belli degli svincoli selvaggiamente urbanizzati nella zona di Rho è un dubbio che non ha nessuno.

Quello che temiamo, è che al turista da Expo, venga più facile vedere gli ultimi e non immaginare mai nemmeno lontanamente, d’esser stato a 15 minuti di auto dai primi.



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