“In occasione dell’Assemblea Nazionale Asppi, intitolata “Affitti e fisco: allargare il mercato della locazione, salvaguardare i contratti concordati”, che si terrà giovedì 14 ottobre, presso la Sala Campidoglio del Centro Congressi Cavour a Roma, verrà presentata una ricerca del Centro Studi Asppi in merito all’impatto della cedolare secca sulla tassazione dei redditi da locazione.
Dall’analisi emergono alcune criticità: innanzitutto la cedolare secca si applica esclusivamente alle persone fisiche, e comunque non può essere applicata alla locazione di immobili commerciali, negozi, uffici, laboratori, riducendo così drasticamente la platea degli affitti interessati.
Inoltre, poiché non è più prevista la detrazione forfettaria del 15 per cento a titolo di compensazione delle spese straordinarie sostenute, questo fa sì che la scelta della cedolare sia negativa o indifferente per i percettori di redditi bassi mentre il livello di convenienza cresce con l’aumentare del reddito. Inoltre è opportuno ricordare che il 20 per cento della cedolare è un’aliquota molto superiore a quella praticata sugli altri tipi di investimento finanziario, per la maggior parte al 12,50%, tra le più basse d’Europa.
Il rapporto del Centro Studi Asppi fornisce ragguagli circa le differenze di imposta che si verificano confrontando quelle calcolate con metodo ordinario nei Comuni A.T.A. (Alta Tensione Abitativa) e non A.T.A. rispetto all’ipotesi di applicazione della cedolare secca al 20%. E’ stata articolata una casistica rappresentativa della tipologia dei canoni di affitto dei piccoli e medi proprietari immobiliari, combinata con le situazioni più ricorrenti di reddito fiscale in capo agli stessi proprietari. I piccoli proprietari sono identificati come soggetti possessoridi un numero di abitazioni adibite all’affitto compreso tra una e quattro e, a titolo di confronto, i canoni di affitto sono stabiliti in 450 euro mensili per ciascuna abitazione (5.400 € annuali).
Ciascuna classe di reddito e di livello di possesso del numero di immobili è trattata in tre diverse tipologie di contribuenti: pensionati, lavoratori dipendenti e altri soggetti contribuenti provvisti di redditi.
Nei Comuni non A.T.A. sia il contratto concordato, sia il contratto libero a tassazione ordinaria sono meno convenienti della cedolare secca, così come nei Comuni A.T.A. dove, per i livelli elevati di reddito, anche i contratti concordati a tassazione ordinaria ridotta per effetto delle agevolazioni della L.431/98 (che prevede una deduzione fiscale del 30% da aggiungere al 15% garantito a tutti i contratti) pagano più tasse rispetto alla cedolare secca al 20%, mentre i contratti concordati a tassazione ridotta per i livelli più bassi di reddito (800 euro mensili più il canone), sono solamente di poco più convenienti della cedolare. Sulla base di elaborazioni effettuate in base ai dati forniti dalla Banca d’Italia, con il passaggio alla cedolare secca l’Irpef lorda diminuirebbe dell’1,7%, mentre le detrazioni per i lavoratori dipendenti e pensionati aumenterebbero dello 0,31%. L’Irpef netta sarebbe inferiore dell’1,74% e a causa del reddito imponibile più basso scenderebbero anche le entrate per le addizionali regionali (-1,09%) e comunali (-0,83%). L’introito del 20% non basterebbe a compensare le flessioni negative delle altre voci e si avrebbe una diminuzione complessiva del gettito dello 0,74%. I risultati completi dell’analisi saranno illustrati, commentati e diffusi in occasione dell’Assemblea Nazionale Pubblica indetta dall’Asppi” (CS dell’Associazione).
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