CLIMA E FINANZA ITALIANA, UNA CLASSIFICA DI GREENPEACE E RE:COMMON: LE BANCHE ITALIANE SMETTANO DI ALIMENTARE L’EMERGENZA CLIMATICA. E UN COMMENTO DI FRANCESCO TEDESCO, ESPERTO IN RINNOVABILI

In contemporanea con l’Assemblea dei soci di Intesa Sanpaolo, Greenpeace Italia e Re:Common lanciano un nuovo Studio che analizza gli impatti negativi sul clima del settore della finanza italiana. Nel report “Finanza fossile”, le due organizzazioni mostrano infatti nel dettaglio il ruolo che le più grandi banche, le compagnie assicurative e i fondi di investimento italiani hanno nel peggioramento dell’emergenza climatica.

Nel 2019, la finanza italiana ha causato 90 milioni di tonnellate di CO2, più delle emissioni dell’intera Austria in un anno. Le due maggiori banche italiane, Intesa Sanpaolo e UniCredit, sono responsabili di oltre 75 milioni di tonnellate di CO2, e si pongono al vertice di questa non invidiabile classifica.

«La crisi sanitaria che stiamo vivendo ci insegna a dare ascolto alla scienza, un concetto che si deve estendere al contrasto alla crisi climatica in corso», dichiara Luca Iacoboni, responsabile della Campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. «Proprio la comunità scientifica dice chiaramente da tempo che dobbiamo smettere di bruciare gas, petrolio e carbone per limitare le peggiori conseguenze dei cambiamenti climatici. Anche banche e assicurazioni dovrebbero dare il proprio necessario apporto alla lotta all’emergenza climatica, eppure fino a oggi hanno solo contribuito ad aggravare la situazione, nascondendosi dietro operazioni di puro greenwashing».

Come emerge dai dati dello Studio, Intesa Sanpaolo e UniCredit sono insieme responsabili dell’equivalente di quattro volte il volume di emissioni di tutte le centrali a carbone d’Italia. UniCredit è oggi la banca italiana con il più alto livello di emissioni (37 milioni di tonnellate di CO2), mentre Intesa è al secondo posto con 35 milioni di tonnellate. Se la scalata del gruppo torinese a Ubi Banca dovesse andare a buon fine, Intesa balzerebbe in testa alla graduatoria.

«Mentre si nascondono dietro a operazioni di facciata, istituti come Intesa Sanpaolo e UniCredit continuano a finanziare i più grandi inquinatori del Pianeta, come Eni, Shell e Gazprom», dichiara Alessandro Runci, campaigner di Re:Common. «Intesa Sanpaolo, che oggi tiene la sua Assemblea dei soci a porte chiuse e senza possibilità di partecipazione da remoto, è inoltre una delle pochissime banche in Europa a non avere ancora adottato alcuna policy sui combustibili fossili».

Per le due organizzazioni, in questo momento di crisi economica è fondamentale che gli aiuti pubblici alle imprese inquinanti siano condizionati a piani di decarbonizzazione in linea con gli accordi di Parigi. Un criterio che dovrebbe essere adottato da tutto il settore finanziario, banche incluse. Per questa ragione Greenpeace e Re:Common chiedono a istituti bancari, compagnie assicurative e fondi di investimento di smettere immediatamente di finanziare il comparto del carbone e l’espansione di tutti i combustibili fossili.

Scarica il grafico   di   sintesi dello  Studio

Fonte  : Greenpeace Italia  

Il Commento  di  Francesco  Tedesco,  esperto  in rinnovabili  (*)

Penso che sia assolutamente condivisibile che, se la casa brucia, bisogna tutti adoperarsi per spegnere l’incendio anzichè farlo divampare ancora di più. Semplice ragionevolezza.Dunque, se sappiamo che certe attività legate alle fonti fossili inquinanti sono causa dell’incendio, non bisogna finanziarle. Bisogna finanziare altre iniziative. Bisognerebbe che qualcuno (molto in alto) decidesse che per finanziare progetti legati al carbone/petrolio ci fossero tassi di interesse talmente alti da far preferire gli investimenti su fonti pulite. Questo farebbe una finanza illuminata.

La  finanza “  attuale”  continua invece a finanziare cose che ci fanno male. Chiaro che tra finanza e grandi compagnie come quelle citate (Eni, Shell, Gazprom, e moltissime altre) esiste un forte legame: chi mai vorrebbe perdere un cliente come Eni perchè gli viene negato il finanziamento al nuovo oleodotto o impianto di trivellazione in Egitto che dir si voglia? Nessuno, è chiaro.

Però è quello che bisogna fare. Credo dunque che siamo esattamente come in quel periodo storico antecedente all’unità d’Italia: nel 1840 tutti già sentivano che l’Italia era una “nazione”, tutti volevano la creazione di un nuovo Stato, ma molte condizioni al contorno lo impedivano. Ci vollero ben tre Guerre di Indipendenza per arrivare all’Unità d’Italia, oltre alla presenza di alcune personalità eccezionali …

Ora siamo nello stesso momento rispetto ai cambiamenti climatici: servono personalità eccezionali per cambiare la situazione. Tutti vogliono che la casa non bruci, che l’economia non faccia male al Pianeta. Ma le resistenze sono ancora moltissime -come appunto quelle finanziarie legate ai combustibili fossili- e certi ingranaggi del sistema fanno fatica a essere fermati.

Non so dunque se basteranno solo tre Guerre di Indipendenza, ma la battaglia è sicuramente iniziata. Molti hanno capito da dove arriva il problema e aspirano a un futuro diverso. Prima si riuscirà a spegnere l’incendio e a spostare flussi di investimento verso attività che non danneggiano il Pianeta, meglio sarà per tutti quanti noi.

(*)  Francesco  Tedesco, ingegnere  ambientale  esperto  in  energie  rinnovabili, e giornalista  pubblicista,   collabora  da  tempo  con   www.internews.biz