La Corte di Cassazione introduce l’obbligo legale di rinegoziazione dei contratti d’impresa

di Emiliano Russo, Founder Studio legale ERRELegal e Adjoint Professor Luiss Business School

La Corte di Cassazione apre la stagione delle rinegoziazioni contrattuali, introducendo per via interpretativa l’obbligo giuridico di negoziare in buona fede i contratti d’impresa, al fine di ricondurli ad equità, ante Covid-19 e anti-Covid 19.

Lo spunto interpretativo della Corte di Cassazione – contenuto nella Relazione Tematica n° 56 del luglio 2020, “Novità normative sostanziali del diritto emergenziale Anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale” – nasce dalla constatazione che la normativa civilistica dispone rimedi volti esclusivamente allo scioglimento del rapporto contrattuale (risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione art. 1463 c.c., risoluzione del contratto per eccessiva onerosità della prestazione art. 1467 c.c., recesso dal contratto di locazione per “gravi motivi”, art. 27 legge 392/78) e non invece rimedi volti ad una rinegoziazione tesa a riequilibrare il contratto, sicuramente più opportuni in un contesto di crisi diffusa, risolvibile solamente attraverso uno sforzo produttivo congiunto e non attraverso l’interruzione della catena di produzione del valore.

Se quindi le regole codicistiche non sono sufficienti, la realtà deve essere interpretata in base ai superiori principi fondanti del nostro ordinamento giuridico.

Il primo è il principio generale di conservazione del contratto, che impone alle parti di privilegiare soluzioni conservative del rapporto giuridico vigente, di riequilibrio economico e di tutela della continuità aziendale, piuttosto che soluzioni demolitorie del contratto e, conseguentemente, distruttive dell’avviamento economico.

Le soluzioni suggerite dalla Corte di Cassazione sono applicabili ai contratti commerciali ad esecuzione continuativa, periodica o differita e, con particolar riferimento ai contratti immobiliari, al contratto preliminare di compravendita immobiliare, al compravendita sottoposta a termine o a condizione, al contratto di locazione commerciale o alberghiero, al contratto d’affitto d’azienda, al contratto di franchising, al contratto di management alberghiero, al contratto di somministrazione (e, verosimilmente ancor di più, applicabili, al contratto di fideiussione e al contratto assicurativo, in quanto ontologicamente fondati su una preventiva analisi e regolamentazione pattizia del rischio prevedibile). 

Ai fini della preservazione dei rapporti contrattuali vigenti, la Corte di Cassazione apre quindi “una breccia nella formalistica lettura della regola Pacta Sunt Servanda”, cioè della vincolatività assoluto del contratto codificato nell’art. 1372 c.c., qualora non venga rispettato il principio del cd. “Rebus Sic Stantibus”: in altre parole, la obbligatorietà assoluta del contratto può e deve essere temperata quando “accadimenti successivi alla stipula, ignoti e estranei alla sfera di controllo delle parti … abbiano snaturato l’originario equilibrio del rapporto”.

Il dovere delle parti di procedere ad una rinegoziazione del contratto, tesa al suo riequilibrio, si fonda più in particolare sul Principio di Buona Fede Oggettiva (codificato nell’art. 1375 c.c.) che sostituisce “alla logica egoistica del negozio statico e blindato, quella dinamica della leale collaborazione tesa a superare le sopravvenienze di fatto e di diritto che hanno inciso sull’equilibrio del contratto”.

Il principio di buona fede oggettiva nella esecuzione del contratto che fonda il neonato obbligo di rinegoziazione contrattuale, è peraltro espressione – continua la Corte di Cassazione nella Relazione Tematica n° 56/2020 – del fondamentale principio di “Solidarietà sociale ed economica” tutelato dall’art. 2 della Costituzione.

Così ricostruito – in base ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico – il fondamento legale del neonato obbligo giuridico di rinegoziazione contrattuale, la Corte di Cassazione traccia le conseguenze giuridiche di seguito richiamate in estratto:

·         “il rifiuto a rinegoziare della parte, ex art. 1375 c.c. si risolve in un comportamento opportunistico che l’ordinamento non può tutelare e tollerare

·         “l’obbligo di rinegoziare impone di intavolare nuove trattative e di condurle correttamente, ma non anche di concludere il contratto modificativo”;

·         “la parte tenuta alla rinegoziazione è adempiente se, in presenza dei presupposti che richiedono la revisione del contratto, promuove una trattativa o raccoglie positivamente l’invito di rinegoziare rivoltole dalla controparte e se propone soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque e accettabili alla luce dell’economia del contratto”;

·         “Si avrà, per contro, inadempimento se la parte tenuta alla rinegoziazione si oppone in maniera assoluta e ingiustificata ad essa o si limita ad intavolare delle trattative di mera facciata, ma senza alcuna effettiva intenzione di rivedere i termini dell’accordo. L’inosservanza dell’obbligo in questione dimora nel rifiuto di intraprendere il confronto oppure nel condurre trattative maliziose (senza, cioè, alcuna seria intenzione di addivenire alla modifica del contratto).”

Sotto il profilo sanzionatorio, ne discende sicuramente una responsabilità risarcitoria della parte che si sottrae al dovere di avviare in buona fede una rinegoziazione contrattuale; la Corte di Cassazione paventa addirittura il ricorso all’art. 2932 c.c., cioè alla possibilità che il giudice possa “sostituirsi alle parti pronunciando una sentenza che tenga luogo dell’accordo di rinegoziazione non concluso”: ma quest’ultimo pare – a giudizio di chi scrive – un rimedio eccessivo, considerata l’assenza di uno specifico accordo pattizio inadempiuto.

In conclusione, i suggerimenti giurisprudenziali sopra richiamati, contenuti nella Relazione Tematica 56/2020 della Corte di Cassazione – per autorevolezza della fonte – costituiscono indubbiamente un faro di luce volto ad illuminare e guidare la rotta dei giudici e di tutti gli operatori del diritto sul tema; in ultimo, la Corte di Cassazione, senza attendere di pronunciarsi mediante sentenza in occasione di future controversie (con tempi sicuramente incompatibili con lo stato di urgenza oggi necessario), ha dato oggi rinnovata prova di vitalità interpretativa, a supporto del mercato e delle imprese.