Cronache dal 28° Forum di Scenari Immobiliari, terza puntata : gli interventi di Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari, Richard L. Florida della Toronto University e Alessandro Balducci del Politecnico di Milano

Le sfide per i mercati post-covid

“Siamo qui oggi perchè non potremmo essere da nessuna altra parte. Il Forum è nato nel 1993, al centro della peggiore crisi economica e immobiliare del ventesimo secolo, per essere un punto di riflessione e speranza per il settore immobiliare e per il paese. Dopo il buio della pandemia e delle preoccupazioni personali ed economiche, siamo qui per ragionare ancora una volta sul futuro e di come affrontarlo al meglio e superare le sfide che ci attendono. Così ha esordito Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari aprendo i lavori del 28mo Forum “Après le déluge”  in programma l’ 11 e  12  settembre a Santa Margherita Ligure.

“In questi mesi – ha proseguito Breglia – si e’ detto che ‘niente sara’ come prima’. Credo sia vero perche’ si sono innescati importanti cambiamenti nei mercati e nei prodotti. La pandemia ci sta lasciando più’ preoccupati e più soli. Il titolo – una volta tanto in un dolce francese –  indica la strada per ripartire in modo diverso e affrontare temi vecchi e nuovi con una volontà e una luce nuova negli occhi. Da dove ripartire? Per noi di Scenari Immobiliari è da quello che sappiamo fare meglio, cioè far incontrare persone e idee per nuove esplosioni di creatività. Nelle settimane scorse mi hanno detto che siamo stati coraggiosi (o sciagurati) a organizzare il Forum in presenza anzichè con rassicuranti video casalinghi. Quando ho visto i bambini entrare a scuola disciplinati e attenti, con mascherine e guanti ho trovato la risposta. Vogliamo cambiare le città e il mondo e non riusciamo a seguire poche regole di comportamento come i bambini?”.

(Nato a Sondrio nel 1955, Mario Breglia è sposato con due figli. Nel 1990 ha fondato Scenari Immobiliari, Istituto indipendente di studi e ricerche, di cui attualmente detiene il ruolo di presidente. È consigliere dal 2005 e presidente dal 2013 di Sidief, società immobiliare della Banca d’Italia).

Come le citta’ stanno reagendo al virus

“Quando è arrivato il virus sono andato a ricostruire la storia delle pandemie: non ho mai trovato un solo studio sugli effetti delle pandemie nel dare forma o ripensare le città.  Questo benchè alcune siano state davvero devastanti, come il colera a Londra, la peste nelle città italiane che ha ucciso metà della popolazione. Nessun effetto sulla storia delle città e della urbanizzazione se non effetti di breve periodo”. Ha commentato così il professor Richard L. Florida della Toronto University intervenuto al 28mo Forum “Après le déluge”. 

“L’urbanizzazione è la storia dell’incontro della gente, delle idee, dell’innovazione, delle start-up, tutti aspetti che hanno avuto evidentemente una forza più rilevante delle epidemie.

Le città hanno continuato a crescere di fronte alle epidemie anche quando non c’era nessun sistema sanitario. Così come contro uno scenario distopico, le nostre città continueranno a perseverare. Il COVID-19 ha solo accelerato  alcuni trend. La micro geografia delle città puo’ cambiare, i luoghi dove la gente vive, consuma, produce possono cambiare ma non cambia la macro geografia delle metropoli”.

“Neanche l’utopia  di città verdi, solo con biciclette e gente a piedi, senza industrie, mi convince. Come se le città potessero diventare un gigantesco playground per ciclisti e pedoni. Pensate a Roma, Parigi e Venezia, non sembrano essere cambiate molto rispetto a 100 anni fa. Anche New York è molto simile, gli edifici sono ancora lì mentre quello che succede all’interno degli stessi è cambiato. Green street prima residenza, industriale, red-light, produzione, artisti, gentrified”.

“Quanto ai pull forces – ha proseguito Florida – il più importante è il remote-work. Negi USA il 40 per cento della forza lavoro ha iniziato a lavorare da remoto. Google ha deciso di lavorare da casa fino alla prossima estate. Questo trend continuerà: una  survey ci dice che il 20 per cento della popolazione lavorerà da remoto parte del tempo. Le compagnie scopriranno che non hanno bisogno di tanto spazio per uffici, le persone chiederanno case più grandi. Il più grande pull factor deriva dalla demografia, poichè se hai figli e hai bisogno di lavorare da casa, e i tuoi figli hanno bisogno di fare lezione da casa, questo potrebbe spingerti in periferia, soprattutto negli Stati Uniti. A Toronto nessuno si sposta dalla città, ci sono buone scuole, diversamente dagli USA. Ci saranno, invece, opportunità per le aree rurali se hanno accesso alla banda larga. Le città piccole che hanno piazze, cibo, cultura hanno la possibilità di diventare nuove destinazioni”.

“Ci saranno anche push factors. I giovani non vogliono vivere nel suburbio, cercano opportunità eccitanti e in tutta la storia dell’umanità ciò è avvenuto in densi insediamenti, nelle città. Se tu non hai un network personale non puoi andartene a lavorare lontano, il personal network lo devi costruire in città. Quello che si fa negli stadi iniziali della propria carriera. Allora, la crisi non ucciderà le città, accelererà alcuni spostamenti, le città diventeranno più giovani, ci saranno remix di attività”.

“Con la crisi del COVID-19 – ha concluso Florida – abbiamo avuro l’opportunità di migliorare le nostre città, ridisegnare lo spazio pubblico, limitare le auto private, come a Parigi, dobbiamo aiutare le piccole impresa, le grandi se la cavano da sole, così come l’economia artistica e creativa che è stata così importante. Non avremo grandi concerti e grandi eventi ma le città potrebbero essere piene di piccoli eventi. Sarà necessario costruire long term recovery plan che si occupino di come le città potranno diventare non solo più vibranti e creative, ma anche inclusive ed eque. La combinazione dell’attivismo civico e delle condizioni della crisi può aprire una occasione unica per migliorare le nostre città”.

(Richard Florida è uno dei più illustri urbanisti al mondo.È ricercatore e professore: in qualità di professore universitario presso la University of Toronto’s School of Cities e la Rotman School of Management, e Distinguished Fellow presso la NYU’s Schack School of Real Estate. È giornalista e scrittore di diversi best seller mondiali, tra cui il pluripremiato The Rise of the Creative Class e il suo libro più recente, The New Urban Crisis. È co-fondatore del CityLab, la principale pubblicazione dedicata alle città e all’urbanistica. È anche un imprenditore, fondatore del gruppo Creative Class Group che lavora a stretto contatto con aziende e governi di tutto il mondo).

Come cambiano le città dopo la pandemia

“Siamo in una situazione di incertezza radicale e non è facile orientarsi nel capire cosa succederà nelle città a seguito della pandemia del COVID-19. C’è una crisi che colpisce molti settori dell’economia, c’è una corsa da parte di molte città a sperimentare adattamenti e misure di emergenza per consentire distanziamento e sopravvivenza della vita urbana. Ci sono posizioni molto diverse sia sulla probabile durata della pandemia, sia sulla necessità di modificare il modello di sviluppo che ha portato a questa ennesima crisi fondata su una globalizzazione sfrenata, sull’ipersfruttamento dell’ambiente, su una crescente disuguaglianza. Ha commentato così il professor Alessandro Balducci del Politecnico di Milano.

“La Fondazione Enrico Mattei ha lanciato una survey fra 25 esperti provenienti da 20  città globali di ogni parte del mondo sugli effetti che il COVID-19 avrà sulla vita delle popolazioni nelle città. Mi è capitato di partecipare al panel ed ho seguito con interesse le diverse fasi della ricerca; mi sembra importante riportare alcune riflessioni a partire  dai risultati dei quali è stata resa pubblica una sintesi. La ricerca è stata promossa da quattro noti colleghi che hanno o hanno avuto importanti posizioni: Francesco Bandarin, (UNESCO), Enrico Ciciotti, (Università Cattolica di Piacenza), Marco Cremaschi, (Sciences Po, Paris) e Paolo Perulli, (Università del Piemonte Orientale)”.

“Significative le convergenze tra esperti che provengono da Nord e Sud America, dall’Europa, dall’Africa e dall’Asia. Si parte dalla considerazione che le città sono state in prima linea nel far fronte alla crisi, come soggetti più vicini al cittadino, che hanno dovuto rispondere ai bisogni della popolazione, far rispettare le drammatiche chiusure imposte dal lockdown, promuovere la riapertura ed il rilancio della vita economica e sociale.In un momento in cui il dibattito sembra polarizzato fra catastrofisti e negazionisti gli esperti convergono sul fatto che un cambiamento profondo è avvenuto, che questo cambiamento produrrà a lungo effetti e che le città sono la risposta al problema, non sono il problema”.

“Ci vorranno 2-3 anni per uscire dalla crisi – ha proseguito Balducci–  ma altre minacce possono incombere per i legami delle questioni legate alla pandemia con quelle legate al cambiamento climatico ed alla crisi ambientale. Alcuni grandi fenomeni sembrano del tutto evidenti, come il crescente ruolo del pubblico, dopo una lunga fase di sua riduzione, la nuova integrazione fra fenomeno urbano e mondo digitale in una ricombinazione che ha subito una straordinaria accelerazione. Sono cambiamenti che richiedono alle città di rafforzare la propria resilienza, la preparedness di fronte all’imprevedibilità degli eventi. Le città rimarranno attrattive, ma dovranno ridefinire l’alleanza tra luogo e rete, dimensione fisica e digitale delle relazioni, spazio urbano ed infrastrutture”. 

“Le domande sono state sottoposte agli intervistati su 12 temi. L’accesso a beni e servizi, che vedrà la forte espansione dell’acquisizione a distanza di beni e sevizi, dall’insegnamento, agli acquisti on line, con la necessità di investimenti nella logistica e nella infrastruttura informatica; con l’emergere di una aumentata disuguaglianza legata al digital divide.

I trasporti, che vedranno grazie al telelavoro la riduzione della mobilità obbligata, la riorganizzazione del trasporto pubblico, la crescita di forme di mobilità individuale potenzialmente più sostenibili. Il Turismo, che soffrirà una crisi profonda in particolare nei suoi comparti di massa, con effetti drammatici su alcuni settori (trasporto aereo e navale) e sulle città in questo specializzate, ma che anche vedrà riemergere un turismo domestico, meno massivo. La Cultura, che subirà anch’essa una crisi profonda di tutto il settore museale e dello spettacolo, muovendosi verso l’on line e tutti i luoghi che consentiranno distanziamento e rispetto delle precauzioni sanitarie”.

“Altro tema è la casa e i servizi, un problema già molto presente prima della crisi, che si acutizzerà, producendo una moltiplicazione della domanda di assistenza da parte delle popolazioni più vulnerabili, che vedrà un aumento degli homeless, che si porrà in modo drammatico negli insediamenti informali dei paesi più poveri. I servizi sanitari, quelli sui quali la pandemia si è abbattuta trovando il sistema in gran parte impreparato, afflitto dai molti tagli al bilancio perpetrati negli anni, che dovrà fare i conti con la necessità di un ritorno alla ridondanza, a ricostruire presidi decentrati legati alla prevenzione, a riportare nei diversi paesi la produzione del materiale medico indispensabile che la globalizzazione aveva concentrato solo in alcuni luoghi. L’organizzazione del lavoro, con l’espansione del lavoro non manuale on line che richiede potenziamento delle infrastrutture e con la sostituzione  e la automazione del lavoro manuale ripetitivo, che però occupa fasce importanti di popolazione a basso reddito accentuandone le difficoltà”.

“Tra i temi anche i sistemi di produzione, che segneranno una crisi del passato modello di globalizzazione, il riavvicinamento delle catene di produzione, la ridefinizione delle alleanze commerciali e dei sistemi di logistica che diventeranno centrali. Il consumo, che vedrà effetti di riduzione di fronte alla crisi, di sviluppo potente dell’on-line,  di crisi della grande distribuzione, ma anche di recupero del commercio di quartiere. L’urbanizzazione, che come detto non vedrà una crisi delle città, ma offrirà necessità/opportunità, di ristrutturare le città per quartieri,  di portare urbanità in aree suburbane o interne, di affrontare i problemi della riqualificazione negli insediamenti informali dei paesi più poveri dove il distanziamento fisico è difficile con situazioni di estremo pericolo. Infine la Governance, che ha  mostrato tutti i suoi limiti di fronte alla crisi e che richiede di essere ripensata con un ridisegno dei rapporti tra istituzioni e società civile”.

“Questi i temi che ho cercato di sintetizzare in poche righe costruiscono una vasta agenda  che chiede alla azione pubblica di affrontare l’insieme delle situazioni di crisi provocate o rese evidenti dalla pandemia. In una parte finale sulle implicazioni di policy desumibili dalla survey i promotori mettono in evidenza in primo luogo come alla luce di quanto è avvenuto acquista un nuovo senso  molto concreto l’obiettivo 11 degli SDG delle Nazioni Unite: rendere le città Inclusive, sane, resilienti e sostenibili. I temi emersi  dalle risposte degli esperti traducono quell’obiettivo in un insieme di linee di intervento: case e servizi sani ed accessibili, trasporti sostenibili, urbanizzazione sostenibile e partecipativa, protezione e salvaguardia del patrimonio, attenzione alla qualità dell’ambiente,  ridefinizione del rapporto tra locale e globale, ecc”.

“La novità, sottolineano i promotori, è l’approccio globale centrato sulle città, che sono attori capaci di muovere le leve necessarie ad uscire dalla crisi legata al COVID-19 non soltanto tamponando le ferite, ma anche costruendo le condizioni per un miglioramento delle condizioni di vita nelle città. Una strategia che deve essere basata su un maggiore orientamento verso i mercati interni e la risposta ai bisogni dei cittadini, su un uso della tecnologia al di là della retorica della smart city;  su una nuova forma di pianificazione non dirigista, capace di far lavorare assieme istituzioni, università, imprese con le organizzazioni della società civile, e che deve essere in grado di esplorare modelli di governance che uniscono le spinte provenienti dal basso integrandole in un quadro più generale”.

“Si tratta – ha concluso Balducci– di uno scenario ricco di spunti per definire  una ‘avenue of escape’  dalla crisi attuale fondata su città più abitabili, più locali che globali, meno diseguali, più flessibili, più capaci di adattamento, con un uso migliore dello spazio pubblico, con una riscoperta della prossimità ed una piena scoperta di tutto quanto può essere fatto in rete  dal telelavoro al rafforzamento di comunità a distanza,  con una grande attenzione alla qualità ambientale. Sono temi che potrebbero riguardare da vicino i grandi investimenti anticiclici che vedranno impegnati i diversi paesi nei prossimi anni”.

(Alessandro Balducci è architetto e Dottore di Ricerca in Pianificazione Territoriale. E’ professore ordinario di Pianificazione e Politiche Urbane e membro del collegio del Dottorato in Urban Planning, Design and Policy. Ha diretto il progetto sulle fragilità territoriali del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani. E’ stato fondatore e primo presidente di Urban@it, il  Centro Nazionale di studi per le Politiche Urbane. Nel 2015-2016 è stato Assessore all’Urbanistica e all’Agricoltura presso il Comune di Milano. Dal 2010 al 2015 è stato Prorettore Vicario del Politecnico di Milano e Direttore del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano, Presidente dell’ AESOP, la Associazione delle Scuole Europee di Pianificazione, membro fondatore della European Urban Research Association e Segretario Nazionale della SIU, la Società Italiana degli Urbanisti.

Ha diretto ricerche di interesse nazionale ed europeo ed  è stato responsabile di diversi piani e progetti in Italia all’estero  :Shanghai, Xi’an, Dubai.

E’ autore o curatore di 22 libri , vari articoli e saggi in Italiano e in Inglese ).