La situazione e le prospettive dell’economia e del mercato dell’auto

Si è svolta oggi presso il Circolo della Stampa di Milano la conferenza stampa annuale del Centro Studi Promotor.
Qui sotto l’ intervento  di Gian Primo Quagliano, Presidente Centro Studi Promotor. 
La conferenza stampa del Centro Studi Promotor sulle prospettive dell’economia e del mercato delle auto in Italia è un appuntamento annuale che si rinnova ormai da 21 anni, cioè dal 1993. Questa conferenza si è sempre tenuta in apertura del Motor Show di Bologna. Quest’anno, come sapete, il Motor Show di Bologna non ci sarà, ma non ci è parsa una ragione sufficiente per far mancare agli operatori del settore dell’auto la nostra analisi su quanto sta accadendo sul loro mercato e sulle prospettive per il 2014.
Pil, economia reale e mercato auto
Venendo al tema di questa conferenza, possiamo dire che la situazione dell’economia italiana e del mercato dell’auto è sintetizzabile in tre dati: -9,1%, -25,3%, -48,1%.
Sono i tassi di caduta sui livelli ante-crisi, del prodotto interno lordo, della produzione industriale e delle immatricolazioni di autovetture. Il PIL è l’aggregato che esprime la situazione complessiva dell’economia. Se confrontiamo i primi sette anni della crisi attuale con i primi sette anni della crisi del 1929 nel nostro Paese emerge che la crisi attuale è più grave di quella del ‘29. L’andamento a “ W” è presente in entrambe le crisi, ma in quella del ‘29 la caduta del PIL non superò il 5,7% mentre in quella attuale ha già toccato il 9,1%. Inoltre, nella crisi del ’29 nel settimo anno era già stato recuperato il livello ante-crisi, mentre nel 2013, che è il settimo anno della crisi attuale, si è invece toccato un nuovo minimo.
Crisi e concentrazione della ricchezza
Le crisi economiche appartengono alla fisiologia dello sviluppo economico e sono essenzialmente determinate da squilibri tra i grandi aggregati che costituiscono il sistema economico. Quando gli squilibri riguardano la distribuzione della ricchezza, la soluzione della crisi è molto difficile. La crisi diventa quindi particolarmente grave ed assume i caratteri di grande depressione. Nella storia recente dello sviluppo economico del nostro Paese, così è stato con le crisi del 1873-1896, con quella del 1929 e certamente così è adesso con la crisi attuale.
Una certa quota di concentrazione della ricchezza è funzionale allo sviluppo dell’economia di mercato in quanto fornisce le risorse per gli investimenti necessari per la crescita del sistema economico. Se però la concentrazione della ricchezza supera una certa soglia il sistema si inceppa perché le risorse che affluiscono alla base della piramide, cioè ai consumatori, non sono tali da sostenere il futuro sviluppo né sono sufficienti per mantenere i livelli di produzione già raggiunti. Questa situazione si era creata nel 1873 e nel 1929 e certamente è in atto oggi. Superarla, cioè riportare la concentrazione della ricchezza a livelli fisiologici, è molto difficile perché i blocchi sociali (e le loro rappresentanze politiche) che traggono vantaggio dai livelli raggiunti della concentrazione si oppongono. Nel 1873 e nel 1929, sia pure con tempi non brevi, lo squilibrio venne superato e l’economia ripartì. Oggi all’interno del gruppo dei Paesi di antico sviluppo economico si sono determinati due orientamenti contrapposti.
Negli Stati Uniti e in Giappone si punta a superare l’eccessiva concentrazione della ricchezza e quindi l’economia è già ripartita. Nell’area Euro prevalgono invece le politiche che tendono a difendere il nuovo status quo. Nell’area euro non viene, quindi, intaccato lo squilibrio fra finanza ed economia reale, si difende ad oltranza la quotazione dell’euro, che avvantaggia soprattutto la finanza, e si impongono politiche di austerità che accentuano i divari tra i Paesi dell’euro e tra i cittadini.
I problemi della ripresa
Alla luce delle considerazioni che abbiamo fatto, appare chiaro come, a fronte di un calo del PIL del 9,1%, vi sia stato un calo del 25,3% dell’indice della produzione industriale, che è l’indice che meglio rappresenta l’economia reale, e appare anche chiaro perché l’inversione di tendenza nell’evoluzione del quadro economico che nel nostro Paese molti si attendevano nella primavera del 2013 non si è realizzata. Le previsioni erano basate sull’ipotesi che dalle elezioni emergesse un quadro politico chiaro e si potesse formare un Governo che, da un lato, avesse la forza di utilizzare tutti gli spazi consentiti dall’appartenenza alla zona euro per adottare misure per la crescita e, dall’altro, avesse la forza di porre ai partner della zona euro un problema che diventa sempre più ineludibile: la revisione dei trattati che, di fatto, stanno spaccando la zona euro in due aree delle quali quella meridionale avviata sulla strada di un inarrestabile declino. Le elezioni della primavera scorsa sono andate come tutti sappiamo e il Governo, che faticosamente si è formato, ha dovuto mediare tra posizioni diametralmente opposte e ben poco ha potuto fare per la crescita, costretto, come è stato, ad eliminare l’IMU, ad aumentare l’IVA e a varare una riduzione del cuneo fiscale del tutto irrilevante.
Le attese di ripresa del Ministro Saccomanni
Naturalmente, nonostante questa situazione, l’ottimo Ministro Saccomanni fin dall’estate ha iniziato a parlare con lodevole ottimismo di ripresa imminente che doveva arrivare nel terzo trimestre, ma i dati sul PIL diffusi il 14 novembre hanno spazzato via le illusioni. Ora il Ministro Saccomanni prevede la ripresa per fine anno.
Esaminando il quadro statistico, qualche debole segnale sembra esservi, frammisto però a dati ancora fortemente negativi.
Vediamo per sommi capi la situazione alla luce dei dati più recenti. Cominciamo proprio dalla produzione industriale. Dopo una serie lunghissima di dati negativi l’indice ha fatto registrare due piccole crescite in maggio e giugno, poi un calo abbastanza forte in luglio, un piccolo calo in agosto e poi ancora una piccola crescita in settembre. La sensazione è che l’indice si stia stabilizzando su bassi livelli prima di iniziare un recupero. A partire dalla primavera, modesti, ma costanti, segnali positivi sono venuti anche dagli indicatori degli ordinativi e del fatturato dell’industria. Per quanto riguarda il commercio estero, invece per i primi nove mesi del 2013 il bilancio dell’export è negativo e come potrebbe essere diversamente dato il cambio dell’euro? Anche per l’import il bilancio è in rosso, ma non si tratta certo di un fatto positivo perché questa situazione dipende dalla debolezza della attività produttiva e in generale dalla crisi dell’economia italiana che consuma poco e investe ancor meno.
Anche dal commercio al dettaglio vengono dati non positivi. Nei primi nove mesi dell’anno le vendite di alimentari sono calate dell’1,3% e quelle di non alimentari del 3%. Decisamente negativo è poi il quadro occupazionale. In giugno e luglio il tasso di 4 disoccupazione sembrava in ridimensionamento, ma in settembre ha toccato il nuovo record di periodo portandosi a quota 12,5% con un picco del 40,4% per l’occupazione giovanile. Resta da dire della fiducia. All’inizio dell’estate consumatori e operatori avevano dato credito alle speranze del Governo e gli indici, su livelli depressi da moltissimo tempo, erano risaliti. In ottobre le vicissitudini della politica hanno però nuovamente depresso il “morale della truppa”. Sia l’indicatore dei consumatori che quello degli operatori hanno virato in rosso. Per novembre è al momento disponibile soltanto il dato sui consumatori che è uscito ieri e dà un piccolo segnale di ottimismo. L’indice torna infatti a crescere. L’indicatore degli operatori verrà invece pubblicato domani.
La via della crescita
A ben guardare, dunque, di motivi che inducano a ritenere che l’inversione di tendenza sia dietro l’angolo ve ne sono pochi. In ogni caso se la prima stima del PIL del quarto trimestre, che verrà diffusa dall’ISTAT il 14 febbraio, darà ragione all’ottimismo del Ministro Saccomanni non si potrà certo pensare che sia iniziato il processo virtuoso che ci porterà fuori dal tunnel in tempi ragionevoli. Affinché questo accada è necessario che si chiarisca la situazione politica in Italia (probabilmente con nuove elezioni), che si formi un Governo che punti in maniera decisa ad utilizzare tutti gli spazi consentiti dalle regole dell’Eurozona per stimolare la ripresa, che si taglino i costi della politica, che si avvii con decisione la lotta agli sprechi e la semplificazione della giungla istituzionale, ma soprattutto occorre che si formi un Governo che sia in grado di porre alla zona euro in termini estremamente fermi il problema di rivedere i trattati.
Con le regole attuali, il declino dell’Italia e dei Paesi della fascia meridionale dell’Eurozona è una prospettiva certa. Tra l’altro, vi sono dati di fonte non sospetta, cioè di Eurostat, l’Istituto Statistico dell’Unione Europea, che dicono chiaramente che il declino dell’Italia è già in atto. Ci riferiamo ai dati sul PIL pro-capite dei Paesi della zona euro. Da un’elaborazione del Centro Studi Promotor su dati Eurostat emerge che nel 2001, fatto 100 il PIL pro-capite dell’UE, l’indice per l’Italia era 119. Nel 2012, fatto 100 il PIL pro-capite UE, l’indice per l’Italia è 99. Il calo è di 20 punti. Nessun altro Paese ha perso così tanto terreno.
Uno spettro aleggia sull’Eurozona
Per chiudere, purtroppo non in bellezza, il discorso sull’economia, vi è da dire che recentemente si è affacciato sulla zona euro e sull’Italia lo spettro della deflazione. Se arrivasse anche questa piaga d’Egitto, si aprirebbe uno scenario ancor più catastrofico di quello attuale che è già molto preoccupante.
Ma le vendite di auto si sono dimezzate
Venendo alle questioni dell’automobile occorre innanzitutto spiegare perché, a fronte di un calo sui livelli ante-crisi del 9,1% per il prodotto interno lordo e del 25,3% per la produzione industriale, le immatricolazioni di auto hanno subito una caduta del 48,1%. Le ragioni sono molte, ma ce n’è una importante che non viene mai dichiarata. Con tutte le campagne di rottamazione che si sono fatte dal 1997 al 2009 (con coda nel primo trimestre 2010) e con la grande spinta alla sostituzione delle auto alimentate con benzina con piombo dell’inizio del secolo, il parco circolante italiano è oggi abbastanza giovane e in tempi difficili, come quelli che stiamo vivendo, rimandare la sostituzione dell’auto a tempi migliori comporta dunque un sacrificio facilmente sopportabile. Basti pensare che sul parco circolante totale le auto immatricolate dal 2000 in poi sono il 71% e quelle immatricolate dal 2005 in poi sono il 44%. A ciò si aggiunge che a partire dalla seconda metà del 2011, cioè da quando il mercato dell’auto è effettivamente precipitato, si è determinata una forte preoccupazione per il futuro che ha indotto anche coloro che ancora disponevano delle risorse necessarie per acquistare nuove automobili a rimandare la decisione a tempi migliori. D’altra parte va anche segnalato che ben pochi hanno rinunciato all’automobile. Si è parlato di demotorizzazione, ma da quando si sono avute le prime avvisaglie del fenomeno a tutto ottobre 2013, il parco circolante è calato di 135.000 unità: un’inezia pari allo 0,36% delle vetture circolanti che sono più di 37 milioni.
E’ del tutto evidente che la causa di fondo della crisi del mercato dell’auto è da ricercarsi nel quadro economico ed è dunque altrettanto evidente perché la mancata ripresa della domanda di autovetture che alcuni avevano previsto, sia pure con grande cautela, nel 2013 non si è ancora determinata. Le ragioni sono le stesse che abbiamo indicato più sopra parlando dello slittamento a fine anno delle attese di inversione di tendenza per l’economia. In effetti il mercato dell’auto ha fatto registrare nel corso del 2013 un forte rallentamento del tasso di caduta della domanda. A partire da agosto si è così cominciato a pensare che dal consuntivo mensile delle immatricolazioni avrebbe potuto arrivare il primo segno più. Ma ad agosto vi è stato un calo e a tutt’oggi segnali positivi non se ne sono ancora visti e non è detto che arrivino entro la fine dell’anno.
Non solo la crisi economica ma anche fattori di freno specifici
Abbiamo accennato che il disporre di un parco non eccessivamente vecchio e il fatto che la sostituzione dell’automobile può essere facilmente rimandata sono elementi che hanno consentito una contrazione delle immatricolazioni ben superiore a quella del resto dell’economia reale. Questa però non è la sola causa che ha fatto sì che il calo del mercato dell’auto andasse ben al di là dell’effetto della crisi economica. Vi sono anche fattori di freno specifici che abbiamo sistematicamente segnalato nelle nostre analisi mensili sul mercato dell’auto, ma che conviene richiamare in questa sede. Un primo fattore importante è l’eccessivo carico fiscale sulla motorizzazione. Siamo veramente al top nella graduatoria mondiale della persecuzione fiscale sull’automobile. Basti citare il caso dell’auto aziendale e quello dei carburanti. Tra l’altro su quest’ultimo aspetto il Governo ha fatto un autogol clamoroso. Per effetto dell’eccesso di tassazione in una situazione di crisi difficile come quella attuale nei primi dieci mesi del 2013 il gettito di benzina e gasolio per autotrazione è calato di 960 milioni e a fine anno il calo supererà ampiamente il miliardo. Ciò nonostante la benzina italiana continua a costare 25,7 centesimi più della media europea e di questi 23,1 centesimi sono di maggiori tasse. Idem per il gasolio. Il maggior costo sulla media europea è di 25,1 centesimi costituito per 23,8 centesimi da imposte.
Altro fattore di freno che da tempo immemorabile penalizza l’automobile, ma che diventa particolarmente pesante nei momenti di difficoltà, è il costo dei premi di assicurazione. Anche su questo terreno deteniamo il record mondiale. Il Governo Monti con il Decreto semplificazioni del gennaio 2012 aveva fatto mostra di voler affrontare il problema, ma risultati non ve ne sono stati. Anzi, secondo l’Istat, nel 2012 i premi per le assicurazioni sui mezzi di trasporto sono aumentati del 3,5%.
Anche le difficoltà del credito, che tanto hanno pesato e pesano sull’economia italiana, sono poi un fattore di freno importante per il mercato dell’auto che, giova ricordarlo, in tempi normali vede il 70% delle autovetture acquistate con finanziamenti.
Il complesso di questi fattori, uniti alla difficilissima situazione economica, hanno costituito un cocktail micidiale che ha portato la domanda di auto su livelli che non si vedevano dalla fine degli anni ’70. Ma vi è anche un altro fenomeno che ha fortemente penalizzato e sta ancora penalizzando il mercato italiano dell’auto. Ed è quello che abbiamo chiamato demonizzazione dell’automobile e su cui abbiamo portato innumerevoli esempi nella tavola rotonda tenutasi a Roma l’8 ottobre scorso con la partecipazione dei “numeri uno” di molte importanti case automobilistiche. Non intendiamo ripeterci in questa sede, ma chi volesse maggiori informazioni può consultare il testo allegato a questo intervento. In sintesi, con il pretesto della sensibilità ambientale e all’insegna del politicamente corretto si fanno affermazioni false che tendono a dimostrare che, in chiara controtendenza con quello che succede in tutto il resto del mondo, in Italia l’automobile si avvia al tramonto perché è un prodotto obsoleto, perché tende ad essere sostituita dalla bicicletta, perché i giovani preferiscono i tablet, perché il futuro sarà del car sharing e per una serie di altrettanti risibili motivi. Il tutto dimenticando che l’automobile mantiene il suo ruolo nelle economie avanzate e si sviluppa in aree sempre più grandi per la semplice ragione che all’automobile non vi sono alternative per soddisfare la quota più rilevante delle esigenze di mobilità. E questo è tanto più vero in Italia dove, secondo Legambiente, fatta 100 la media UE, la dotazione di metropolitane è pari a 39,6, quella di treni pendolari è pari a 45,8 e quella di treni ad alta velocità a 61,2.
Le colpe del Governo
Tutto questo naturalmente si inserisce in un contesto italiano in cui il peso economico e politico del settore dell’auto è andato ridimensionandosi con la perdita per il nostro Paese del rango di grande produttore di auto. Ma l’Italia resta sempre un grande mercato e il Governo non può considerarlo semplicemente come un limone da spremere, ma ha l’obbligo di sostenerlo quantomeno come gli altri settori dell’economia. Pensare sempre ad aumentare le accise sui carburanti quando vi è da reperire risorse può far contenti alcuni, ma come l’esperienza ha già dimostrato, è controproducente sia per il fisco che per l’economia.
Le previsioni per il 2014
Tornando ai numeri sul mercato italiano, non vogliamo sottrarci all’impegno che in queste conferenze abbiamo sempre mantenuto di formulare una previsione per l’anno che viene. Sulla base delle considerazioni che abbiamo svolto riteniamo che per l’economia nel 2014 possa esservi l’inversione di tendenza. Il Governo stima una crescita dello 0,7%. Questa previsione rischia di essere ottimistica se non cambia la situazione politica che ha fin qui impedito di avere una maggioranza che consenta di adottare una politica per la crescita. Lo scenario più probabile, a nostro avviso, è quello della stagnazione. A patto che naturalmente ai timori di deflazione non segua una deflazione vera e propria perché in questo caso la prospettiva è di un ulteriore caduta.
Per quanto riguarda il mercato dell’auto, nell’ipotesi in cui il 2014 per l’economia sia effettivamente l’anno della svolta e si abbia una crescita dello zero virgola qualche cosa, le immatricolazioni potrebbero collocarsi intorno a 1.330.000 unità. E dunque con un piccolo incremento sul 2013 che con ogni probabilità chiuderà a quota 1.295.000. Per fare di più occorrerebbe che il Governo intervenisse per rimuovere alcuni dei fattori di freno specifici di cui abbiamo detto. Non ci pare però che esistano le condizioni per essere ottimisti.
Quando usciremo dalla crisi
Per concludere, vi è una domanda di cui tutti vorremmo conoscere la risposta: quando usciremo dalla crisi? L’Italia e il mondo sono usciti dalla crisi del 1873 e da quella del 1929. Per uscire dalla crisi attuale per il nostro Paese vi è oggi una condizione di fondo: rinegoziare i trattati della zona euro che stanno determinando per l’Italia e per gli altri Paesi mediterranei difficoltà insormontabili. Il declino per l’Italia è già cominciato. Se non lo si fermerà in tempi brevi il fenomeno diventerà inarrestabile.