di Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari
Tanti accomunano gli effetti del Coronavirus a quanto accadde dopo l’undici settembre 2001. Anche allora, si mise in discussione il modello di crescita delle città, la conurbazione eccessiva e la mancanza di attenzione alla sicurezza dei cittadini. Un certo modello di sviluppo era dato per morto. Per finita la costruzione dei grattacieli perché obiettivi troppo facili da colpire. Il nuovo modello di sviluppo doveva guardare ai piccoli centri e non alle metropoli. Come oggi, crollò il turismo e fu messa in discussione la globalizzazione”.
Al Forum di Scenari, poche ore dopo l’attentato alle Torri gemelle, si parlò esplicitamente di ‘fine del real estate. Cosa è successo dopo? Si sono costruiti circa ottocento grattacieli nel mondo, di cui una ventina in Italia. La popolazione mondiale trasferita nelle metropoli è aumentata del dieci per cento.
Nel febbraio 2002 a un convegno Censis si discusse sulla ‘esplosione della bolla immobiliare’ dopo una crescita dei prezzi medi e del fatturato del mercato di quasi il dieci per cento nei cinque anni precedenti. Nel quinquennio successivo all’undici settembre 2001 il mercato immobiliare italiano è cresciuto del 27 per cento e i prezzi di quasi il venti per cento mentre quello europeo del 35 per cento, con un incremento delle nuove costruzioni superiore al secondo dopoguerra.
Questa lunga premessa introduce il mio pensiero attuale, non di conforto ma di stimolo a chi legge. Nell’ora più buia (e questa sicuramente lo è) non si vedono i bagliori dell’alba. Questa arriverà e ci porterà un mondo nuovo. La crisi odierna ha molte somiglianze a quella del 2001, ma anche a quelle del 1973 e del 1930, dove le riprese hanno visto mercati, prodotti e soggetti nuovi. Questi mesi in sospensione, stanno dando un nuovo valore a quello che potremmo definire ‘spazio vitale individuale’.
Già ho parlato dell’inadeguatezza della maggior parte delle nostre case. Ora qualche considerazione sui luoghi del lavoro terziario. Abbiamo atteso lo smart working e ora che lo abbiamo conosciuto non vediamo l’ora di tornare nei nostri cari uffici. A parte la debolezza delle reti e un tempo doppio per la metà del risultato, abbiamo visto che il lavoro è scambio di idee, collaborazione, sintesi tra i diversi, dialogo anche senza parole.
Ci sarà necessità di più metri quadrati per addetto. La logica dello sfruttamento intensivo dello spazio non è più adatta ai tempi nuovi. Dove alle necessità sanitarie si aggiunge una nuova consapevolezza dei bisogni delle persone. Vanno ripensati i luoghi del lavoro su superfici maggiori e con servizi innovativi. Il recupero dei tanti contenitori vuoti deve essere prioritario, oltre a nuove e diverse costruzioni. Ci muoveremo meno e quindi le zone centrali o quelle meglio collegate varranno di più. Ci sarà una nuova gerarchia di investimenti, così come avvenne nei primi anni del secolo. La velocità del mercato non dipende solo dalla nostra volontà, ma anche dalle scelte di politica economica nazionali e internazionali. E quindi il momento della ripresa è incerto. Ma in quel momento avremo bisogno di più mercato.
Nella foto, Mario Breglia