Sorry I missed you…

di James  Hansen, per  I Mercoledì di Rochester 
 Il biglietto qui sopra, a firma del Ministro britannico Jacob Rees-Mogg, dice “Mi spiace non ci fosse quando Le ho fatto visita. Conto di vederLa in ufficio molto presto”. Il messaggio è stato lasciato sulle scrivanie dei numerosi funzionari e impiegati del suo dicastero che continuano a non presentarsi in ufficio nonostante l’emergenza COVID sia ormai ufficialmente superata. Rees-Mogg, che detiene il portafoglio per l’ “Efficienza governativa”, sta cercando di convincerli a tornare al lavoro, ma loro preferiscono “lavorare da casa…” Oltre al problema “logico” nel caso presente – come potranno mai vedere la nota se non sono in ufficio? – un po’ ovunque è forse giunta l’ora di tornare “alla normalità”, qualunque essa sia ormai. Molti, tutto sommato, sarebbero anche felici di farlo, ma – dopo l’esperimento del Work From Home – alle loro condizioni…  Quello che emerge nei paesi anglosassoni – mercati di lavoro notoriamente “flessibili” – è che la sperimentazione pandemica ha rafforzato quei dipendenti che avevano già la possibilità di “negoziare” i propri termini, anche se prima non la esercitavano. Così arriva il fenomeno del supercommuter, il “superpendolarista”: colui o colei che fa – volentieri – un viaggio di oltre novanta minuti per andare a lavorare, e ovviamente anche per poi tornarsene a casa… In sé, non è nulla di nuovo, ma una volta era considerata una cosa da disperati o da alti dirigenti strapagati… La questione però cambia se quel viaggio lo si deve fare solo una o due volte al mese: una possibilità che si sta presentando concretamente nei paesi anglofoni. Così, sempre più, chi ha un talento, un’abilità o conoscenze avanzate di una materia importante può andare a vivere dove gli pare – e presentarsi in ufficio un po’ quando gli pare anche. Perlopiù si tratta di “knowledge workers” – creativi o specialisti di medio rango. Il dirigente classico invece deve stare in ufficio a, beh, “dirigere”, mentre chi “sa” o “fa” può organizzare il lavoro come vuole… Per dire, le aziende cominciano a trovare la necessità di abbandonare il “gerarchismo” fin qui regnante e di capire invece dove nell’organico viene davvero generato il maggior valore. Come ogni rivoluzione, anche questa porta del bene e del male. Il problema che si presenta ora – cioè capire se è proprio essenziale che i dipendenti tornino tutti in ufficio o meno – obbliga le aziende a decidere, finalmente, chi è nei fatti “necessario” e chi non lo è… I dipendenti le cui prestazioni sono semplici e facilmente quantificabili – come le mansioni che più si prestano all’Work From Home – sono particolarmente vulnerabili ad “altre soluzioni”: outsourcing, automazione et al. Se “chi sa davvero fare” è messo sempre meglio, allora potrà lavorare da Aosta per un’azienda palermitana – o viceversa se preferisce le arance alla neve – mentre il colletto bianco semplicese la vedrà brutta nel nuovo mondo in arrivo… ( Si ringrazia James Hansen per la  gentile  concessione)